Ritratto di un interprete del reale e del fantastico
di Clara Sorce
Avana 15 ottobre 1923, in quel luogo venne alla luce un bambino che avrebbe segnato la storia della letteratura italiana: Italo Calvino.
Considerata la “pecora nera della famiglia” il giovane Italo si contraddistingue per la sua passione alle arti umanistiche piuttosto che alle scienze, branchia del sapere prediletta dalla famiglia. Del resto i suoi stessi genitori erano legati a vari versanti scientifici. Il padre era un agronomo, la madre era laureata in Scienze Naturali, lavorava come assistente botanica presso l’Università di Pavia. I Calvino all’epoca della nascita di Italo, primo genito, si trovavano da circa una ventina d’anni a Cuba per via del lavoro del padre dello scrittore. Egli dirigeva una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola di agraria.
Delle origini cubane rimasero solo un mero dato anagrafico in quanto si dirà sempre ligure, o più precisamente sanremese. Nel 1925 la famiglia fece ritorno in Italia, ritorno da tempo preventivato e solo rimandato dalla nascita del bambino. Tornati nella loro Sanremo il piccolo Italiano crebbe in un ambiente cosmopolita.
Sono cresciuto in una cittadina che era piuttosto diversa dal resto dell’Italia, ai tempi in cui ero bambino: San Remo, a quel tempo ancora popolata di vecchi inglesi, granduchi russi, gente eccentrica e cosmopolita. E la mia famiglia era piuttosto insolita sia per San Remo sia per l’Italia d’allora: [...] scienziati, adoratori della natura, liberi pensatori [...].
L’infanzia di Calvino è serena nonostante i tumulti di un mondo in conflitto, l’immagine del mondo che pian piano si andava creando era variegata e ricca di sfumature.
Il primo ricordo della mia vita è un socialista bastonato dagli squadristi [...] è un ricordo che deve riferirsi probabilmente all’ultima volta che gli squadristi usarono il manganello, nel 1926, dopo un attentato a Mussolini. [...] Ma far discendere dalla prima immagine infantile tutto quel che si vedrà sentirà nella vita, è una tentazione letteraria.
Il giovane Calvino, come si è detto sopra, non amava particolarmente le scienze naturali ciò che più lo appassionavano erano le riviste umoristiche, la cui attrazione era dovuta per via dello “spirito d’ironia sistematica”, lontani dalla retorica del regime. Appassionato di cinema e di disegno si dilettava nel disegno di vignette tanto da concepirne alcune che furono pubblicate nel 1940 nella rivista Bertoldo con la firma di Jago. Ma il piacere della lettura lo acquisì solo tra i dodici e tredici anni grazie all’opera di Kipling: Il libro della Giungla.
Il primo vero piacere della lettura d’un vero libro lo provai abbastanza tardi: avevo già dodici o tredici anni, e fu con Kipling, il primo e (soprattutto) il secondo libro della Giungla. Non ricordo se ci arrivai attraverso una biblioteca scolastica o perché lo ebbi in regalo. Da allora in poi avevo qualcosa da cercare nei libri: vedere se si ripeteva quel piacere della lettura provato con Kipling.
Ma quella di Calvino è una generazione destinata a chiudersi anzitempo, e nel più drammatico dei modi.
L’estate in cui cominciavo a prendere prender gusto alla giovinezza, alla società, alle ragazze, ai libri, era il 1938: finì con Chamberlain e Hitler e Mussolini a Monaco. La “belle époque”della Riviera era finita [...]. Con la guerra, San Remo cessò d’essere quel punto d’incontro cosmopolita che era da un secolo (lo cessò per sempre; nel dopo guerra diventò un pezzo di periferia Milan-torinese) e ritornarono in primo piano le sue caratteristiche di vecchia cittadina di provincia ligure. Fu, insensibilmente, anche un cambiamento d’orizzonti.
Gli anni tra il trentanove e in quaranta vedono un Calvino incerto nelle sue posizioni politiche. La sua posizione ideologica vacilla fra il pensiero polemico di una scontrosa identità locale e un confuso anarchismo.
Nel suo percorso di maturazione artistica tutto ciò che riguarda la sua sfera personale è un tassello fondamentale. Tra questi i rapporti personali come l’amicizia con Eugenio Scalfari
A poco a poco, attraverso le lettere e le discussioni estive con Eugenio venivo a seguire il risveglio dell’antifascismo clandestino e ad avere un orientamento nei libri da leggere: leggi Huizinga, leggi Montale, leggi Vittorini, leggi Pisacane: le novità letterarie di quegli anni segnavano le tappe d’una nostra disordinata educazione etico-letteraria
L’8 settembre del 1943 renitente alla leva della repubblica di Salò, passa alcuni mesi nascosto. Questo sarà per Calvino un periodo di profonda solitudine e di letture intense, che avranno un gran peso nella sua vocazione di scrittore.
In quell’anno lo scrittore ebbe chiara la sua vocazione, vocazione che si contraddistingue per curiosità, gioco, ricerca costante e inquieta, fiaba e realtà.
Dal dopo guerra comincia la produzione dell’artista, un’opera corposa animata dalla volontà di esplorare ogni angolo della realtà e al contempo capace di inseguire ogni volo dell’immaginazione.
Come due arterie pulsanti si animano nella ricerca letteraria di Calvino due filoni che si sviluppano in parallelo: da un lato una linea realistica, basata sul concepimento di vicende verosimili ambientate su sfondi storici e sociali, contemporanei al suo tempo. Dall’altra una linea fantastica che attinge al genere fiabesco. Ad una vista superficiale sembrerebbe che i due fili siano separati ma tale apparenza non corrisponde alla realtà. Come ben si evince dal suo primo romanzo I sentieri dei nidi di ragno il realismo è sempre avvolto da un “oltre” immaginativo che immerge il lettore in atmosfere avventurose, fantastiche, bizzarre e favolose. Al contempo i racconti fantastici come Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente affrontano, sia pure in forma allegorica e figurata, le contraddizioni e i problemi del mondo contemporaneo.
Dal Sentiero dei nidi di ragno agli ultimi romanzi Calvino non ha mai smesso di ricercare e sperimentare. Fedele a un ideale le sue opere si caratterizzano per un ideale stilistico e morale di ostinazione volontaria, di riduzione all’essenziale, di rigore autocostruttivo che si uniforma alla sua prosa chiara, agile, elegante, capace di contrapporsi alla pesantezza e all’opacità del mondo anche quando si misura con i tragici drammi del presente. I libri di Calvino si possono leggere come tappe di una ricerca continua e inquieta, in cui restano costanti il dialogo “amichevole” con i lettori. Opere in cui il gusto della narrazione e dell’invenzione fantastica si fanno culto dell’ironia e della leggerezza come reazione al peso dell’esistenza, del vivere. Calvino rivendica il valore della fantasia. Egli si contrappone alla visione e prospettiva degli autori realistici tradizionali illustrando la situazione precaria dello scrittore del Novecento, così i suoi romanzi “fantastici” raffigurano allegoricamente la condizione “mutilata” dell’uomo contemporaneo bilanciandosi tra le favole remote e il racconto filosofico illuminista. Calvino innalza il valore di una letteratura che sia capace di sfidare il “labirinto” del mondo contemporaneo in nome dell’intelligenza e della ragione.
A distanza di cento anni dalla sua nascita Calvino ci lascia in eredità un’ utopia. Utopia che si può cogliere nelle ultime pagine del suo romanzo Cavaliere inesistente in cui l’avventura della vita e quella della scrittura possano farsi ugualmente leggere, imprevedibili e favolose:
La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c’è la vita dentro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà e come l’angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incantata, un nuovo amore.
Comments