top of page
Immagine del redattoreclara sorce

Nica

Aggiornamento: 2 lug

di Clara Sorce e Costanza Sorce





Cos’è il pensiero?

Inno al pensiero libero è l’albo Nica di Mariagiulia Colace, edito da Ideestortepaper.

Nica, Nausica, possiede una bella casetta di legno, la sua casetta non ha né porte né finestre, ha un bel tetto e un piccolo camino…



Così si presenta Nica. La Colace concepisce un albo “sapiente” dove il testo e le immagini sono in un’armonia assoluta. Le tavole sono potenti ed in sé portano un messaggio chiaro che il lettore coglie nella sua pienezza. Il testo breve è giustapposto alle tavole surreali.

Fin dalla prima tavola comprendiamo che Nica non è come tutti gli altri.

Nella prima tavola troviamo in primo piano, su un fondo desertico, un cacciavite, delle cerniere e delle viti sparse. In questo ambiente desertico, sparsi, spuntano dei piccoli germogli.


Proprio lì Nica si libera da quei presupposti che la società ci impone, lei si libera dalla omologazione e dalle convenzioni. Apre la sua casa, ossia la sua mente, alla libertà. Nica non desidera cerniere, serrature, toppe nuove, o preziose chiavi, lei desidera solo un confronto, uno scambio senza toppe o chiavi. Tutti non fanno altro che parlare di toppe, cerniere, sbarre, si ascoltano, si ammirano, si consolano e si incoraggiano. È la società dei vanitosi, dell’adulazione, degli idoli dove l’io prevale sull’altro. Le conversazioni, i pensieri diventano conformi alla società e così il pensiero, che l’autrice simbolicamente interpreta con la figura degli uccelli in gabbia, non è libero di volare.


Il pensiero, come gli uccelli, emigra e durante quel periodo tutti se ne stanno in silenzio, chiudono le loro menti nell’oscurità di un telo in attesa che il tempo passi.

La tavola che, a parer mio, colpisce maggiormente è quella in cui l’autrice narra del momento in cui gli stormi volano in un deserto, rosso, arido dove sono collocate delle gabbie coperte da dei teli. Si vedono le sagome nere degli uccelli appartenenti allo stormo ma non vediamo chi si cela dietro quei teli, chi abita quelle gabbie? Questo non ci è dato saperlo perché a “proteggerli” ci sono robuste sbarre, cardini saldi. Nel frattempo gli stormi


Disegnano forme che come le idee, si dissolvono l’una nell’altra.

Tutti sono silenti e si chiedono come faccia Nica senza cardini e senza chiavi. Nica non ha paura, anche lei è in silenzio, un silenzio diverso da quello degli altri che hanno paura. Lei coraggiosamente saluta con la mano lo stormo e lo osserva rapita. Lei è libera di esprime ciò che pensa senza aver paura della “società” che vuole tutti conformi anche nei pensieri.

Nica non è solo un inno al pensiero libero è un punto di riflessione su quanto la società e le convenzioni sociali ci influenzino, anche nel pensiero, producendo negli esseri umani la paura di esprimersi liberamente per quello che si è. Nica fin dal principio del racconto si libera dalle cerniere, da quei cardini che la società ci impone per esserne accettati omologandoci anche nel modo di pensare. Non è un caso che simbolicamente la Colice abbia legato il pensiero alla figura del volatile.


Molti poeti nella nostra storia hanno affrontato i temi di libertà, di espressione del proprio io e del proprio pensiero. Inoltre è sempre stato uso comune l’uso di personificazioni, metafore, e molte altre figure retoriche volte alla rappresentanza di tali temi.

Tali tematiche furono affrontate soprattutto tra il periodo della Seconda Guerra Mondiale e il dopo guerra. Mai come in un periodo di guerra, di regime, la libertà dell’uomo viene minata. Libertà di manifestare le proprie idee, di esser se stessi, libertà di proclamare le proprie credenze ed esprimere la propria voce. Durante tali periodi erano tutti prigionieri, non solo i prigionieri di guerra, i prigionieri, vittime dei regimi, anche gli uomini “liberi” erano in realtà prigionieri di una realtà che non gli apparteneva, di un mondo dominato dalla rabbia, dalla violenza, e dalla forma di di violenza più brutale: l’indifferenza.


Uno dei poeti italiani che affronta tali temi in modo diretto, ma così sensibile, con garbo e argute metafore tocca l’animo del lettore, è Eugenio Montale. In molte raccolte poetiche affronta il tema della guerra, e i sentimenti che essa portò in Italia. Tra queste figurano: Ossi di Seppia, rappresentano la realtà, i residui molluschi che il mare deposita sulla riva, ciò che resta, semplice, ma forte, manifestazione di una condizione di vita impoverita, arida, resa così dall’indifferenza alla violenza, e dalla perdita delle emozioni, conseguenti alla perdita del pensiero. Tale concezione esistenziale inaridita imprigiona l’uomo, non vi è alcuna possibilità di scampo. In tale raccolta la prigione è rappresentata dal “muro”, Montale infatti carica di significato l’oggetto. L’anima diventa informe, perde la consistenza unitaria e l’identità individuale, da qui anche la totale disarmonia del poeta col mondo. L’unica salvezza per l’uomo diventa “l’indifferenza stoica”, il distacco con cui affrontare quella violenza, quel dolore, per poter salvare almeno un pezzo di sé. Montale, quindi, durante tale periodo non ha fiducia nella parola poetica, è consapevole del fatto che poche cose possono dare sostegno agli uomini. La sua infatti è una “poetica dell’oggetto”, instaura con il mondo un rapporto razionale, non cerca il mistero, l’essenza, affronta con decisa razionalità il dolore. Il muro quindi rappresenta l’impossibilità dell’uomo di andare oltre, è ciò che gli impedisce di attingere alla pienezza vitale, Montale lo chiamò Immoto andare. L’andare avanti, è solo un’illusione, sono bloccati, proprio come nell’albo da cerniere, si compie un eterno ritorno del tempo su se stesso, si ripetono in modo monotono gesti, azioni, senza alcun mutamento. Si tratta di un inadattamento psicologico e morale. Il poeta quindi si protende a cercare un varco che consenta di uscire dalla prigionia esistenziale, ciò che Montale definisce l’anello che non tiene in una rete , ma è difficile da aprire.


Altri poeti diversamente da Montale, seguono una linea simbolista, in cui la parola è carica di significato, da voce al mistero e arriva a cogliere l’essenza della realtà, tra questi Ungaretti, la poesia ha il compito di cogliere la profondità, la misteriosità dell’animo umano e svelarne il senso nascosto. Il male poteva essere superato dalla solidarietà, dal sentimento di fratellanza e attaccamento alla vita, ciò si evince bene nella poesia Porto sepolto. Con Montale, in pieno periodo di guerra, vediamo cosa la poesia non è, dinanzi all’aridità e alla desolazione della condizione esistenziale, della privazione della libertà, la poesia che meglio esprime tutto ciò è Non chiederci la parola, qui esplicitamente il poeta dichiara di non sapere quale sia il significato più profondo, i poeti non hanno i mezzi per indagarlo, dinanzi a quella desolazione possono solo dire ciò che veramente la poesia non sa esprimere, come questa non sappia arrivare all’essenza profonda della realtà. Più avanti, in un altra raccolta poetica Bufera e altro, emerge un altro componimento che bene esplicita tale situazione di prigionia e malessere, si tratta della poesia Il sogno del prigioniero. La poesia può esser letta su due livelli, il primo, quello storico: il prigioniero rimanda alle vittime di totalitarismi, la poesia è una denuncia della storia contemporanea, il poeta si identifica con tale prigioniero, ne vive la vicenda interiore, l’incertezza sulla propria sorte, la prospettiva dell’annientamento. Su tale sfondo si profila l’orrore della guerra, agli orrori si oppone però il sogno del prigioniero, nucleo centrale del componimento, l’unico modo per resistere al dolore, all’incertezza, alla minaccia, è aggrapparsi al sogno, alla speranza che porta gli uomini alla libertà.


Attraverso il sogno gli uomini si figurano nuove realtà, libere, e nel pensiero di poterle avere un giorno, vivono, e combattono per esse. La poesia si legge anche su un secondo livello, allegorico, esistenziale. “Il mio prigioniero può essere un prigioniero politico; ma può essere anche un prigioniero della condizione esistenziale” questo ciò che scrisse Montale stesso. La prigionia è allegoria dell’estraneità del poeta al mondo, della sua reclusione nella prigione esistenziale. La condizione dei poeti, e di altri uomini “liberi” è analoga a quella dei reclusi, vittime delle aberrazioni della storia, perché non possono attingere ad una verità libera, ad una piena realizzazione vitale che possa dare un senso alla propria esistenza. Il sogno allora cosa è? È la poesia, la speranza, è il pensiero, che anche se ostacolato, trova sempre il modo di essere, di esprimersi, emergere. Una salvezza che non è evasione, rifiuto della realtà, diversamente, tiene ben presente quella realtà.


Ancora oggi, la libertà, troppo spesso, viene negata. In molti Paesi viene negata perché si è donne, per il proprio orientamento sessuale, o religioso, perché ancora presenti molti “regimi”. Sono ancora tante, troppe, le cerniere da aprire, nonostante siano stati fatti molti passi avanti. Ogni giorno dobbiamo muoverci sempre di più, per fare in modo che quello del mondo non sia un “immoto andare”.


 

Nica


Autrice: Mariagiulia Colace Casa editrice: Ideestortepaper Età consigliata: dai dieci anni in su

21 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Stavo pensando

Comments


bottom of page