di Clara Sorce e Costanza Sorce
L’infinito, se qualcuno ci chiedesse di descrivere, di definire l’infinito, sapremmo farlo? Probabilmente no, almeno non subito, e ognuno avrebbe “il suo infinito”. L’infinito di Giacomo Leopardi si apre grazie a ciò che è vago e indefinito, il lavoro dell’immaginazione, che nella prima parte del pensiero leopardiano ha un ruolo centrale, perché unica fonte di piacere, donatagli dalla natura, che è quindi una Natura benigna, ciò ha inizio grazie a delle suggestioni visive e uditive poco chiare, vaghe appunto.
Chiariamo prima il concetto di piacere. L’uomo ha sempre cercato il piacere, quello più profondo, lo cercavano gli antichi greci e romani con le filosofie dell’epicureismo e dello stoicismo, e in generale la filosofia lo ha sempre ricercato, anche se in forme diverse, metafisiche, esistenziali, materialistiche. Il punto però è sempre stato uno “da che il mondo era il modo”: cercare una sicurezza, il significato profondo dell’uomo, il mistero che avvolge l’esistenza. Lo si chiama piacere, infinito, radicamento ontologico, ma resta sempre un unico concetto: le fondamenta, il luogo in cui l’uomo non si sente inferiore, mancante, oscuro, è il luogo in cui trovare il profondo animo, in cui essere felice.
Leopardi conosceva bene la tradizione culturale, filosofica, letteraria. Fu un appassionato di greco e latino, li studiò da autodidatta e sicuramente gli studi su Isocrate e Cicerone, e le traduzioni di questi, influenzarono notevolmente i suoi studi e il suo pensiero.
Felicità e piacere coincidevano nel pensiero di Giacomo Leopardi, il piacere che l’uomo attendeva era un piacere infinito, il desiderio del piacere è eterno, perché radicato nell’esistenza umana. Il mondo attorno a noi è però finito, ha dei limiti, il desiderio del piacere, pertanto, non viene mai soddisfatto. Da tale contrasto, tra il mondo e ciò che spinge l’esistenza umana, nasce l’infelicità dell’uomo, l’uomo scopre che nessun piacere è eterno, e scopre quindi, che dal momento che non potrà mai soddisfare tale desiderio, è una creatura misera, nata già per soffrire. Vi è però una facoltà, l’immaginazione, che consente di figurarsi quel piacere, è una realtà parallela, l’uomo trova un illusorio appagamento al suo bisogno di felicità. L’immaginazione viene stimolata da sensazioni vaghe e indefinite, delle suggestioni uditive, o impedimenti visivi. L’uomo si pone al di là di quel mondo limitato, in questo modo si allontana dalla società, dal progresso che allontanandolo dalla natura e spegnendo quindi, l’immaginazione, lo ha reso così infelice.
Basterebbe leggere L’infinito per sprofondare nel silenzio assordante dell’animo umano. La lettura dell’idillio ci scuote, ci sgomenta ma ci restituisce un senso di completezza, di integrità, ci si sente in armonia. Lo leggi ed entri a contatto con la bellezza, con la perfezione. È la perfezione dell’attimo, catturata da un grande genio, trovo che la spiegazione di tale poesia in qualche modo la snaturi, la privi di qualcosa, si contamina la perfezione con l’angoscioso senso che l’uomo deve attribuire per cercare sicurezza, senso. La poesia è la prova che il senso non è qualcosa di analitico, è l’attimo catturato dalla mente e ricondotto al tutto, all’eterno. E veramente ragione è sentimento, quella divisione così “sicura” che l’uomo attua, sentimento è irrazionalità, realtà è razionalità, non è così corretta. Leopardi ci mostra come il sentimento sia quella capacità di accogliere, di aprirsi al tutto e ricondurlo ad unità, e questo lo si può fare soltanto con la ragione.
Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensiero mi fingo; over per poco il con non si spaura.
Il poeta siede e osserva ed è la mente che “finge”, nel senso latino del verbo fingo, ovvero creo, crea spazi vasti oltre la siepe e silenzi che sono sovrumani. Grazie alla creazione apre i suoi occhi, i suoi sensi vanno al di là del reale, tanto che il cuore prova sgomento.
E mi sovviene l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Ed ecco che l’eterno arriva, arriva e sovrasta tutto, non importano le epoche passate, quella presente, è tutto vano dinanzi all’immensità del tutto. La mente allora annega nell’immensità dell’infinito, sino a perdere la propria identità, ma ciò non provoca più sgomento, è dolce adesso, perde la propria identità, per ritrovarsi, e si ritrova interamente congiunto con la totalità. Si perde nell’attimo per ritrovarsi per sempre. Trova il profondo animo, quello che il filosofo Eraclito chiamava Batun.
A duecento anni dalla nascita del componimento, 1890, nel 2019 l’illustratore Marco Somà vincitore del Premio Andersen
Per l’originalità di un segno elegante e suadente, preciso e dalle non comuni valenze evocative. Per essere una delle voci giovani, più convincenti e attente, dell’illustrazione italiana. Per una meditata e solida cultura figurativa che si esprime in immagini sospese fra poesia e ironia.
impreziosisce il componimento di Giacomo Leopardi col suo segno e il suo stile che ben esalta il pensiero leopardiano. L’infinito di Giacomo Leopardi diviene un albo illustrato edito da Einaudi Ragazzi, con un pensiero di Daniele Aristarco.
Il pensiero leopardiano incentrato sull’immaginazione e la natura si sposa con lo stile di Somà. Natura, fantasia, immaginazione sono solo alcuni degli aspetti dello stile dell’artista.
Per la lirica leopardiana Somà - come in molti suoi albi illustrati in cui l’artista realizza animali antropomorfizzati calati in ambienti in cui la natura predomina - ci mostra un Leopardi in forma di cervo col suo iconico soprabito turchese immerso nel suo componimento. La natura si mescola alla poesia.
Il nostro Leopardi si affaccia da una finestra, che sta su un fusto di un grande albero. Non ci guarda, egli è intento ad osservare oltre …
Le atmosfere sono surreali, date dalle tinte ocra, ci perdiamo con lo sguardo verso quell’infinito che di lì a poco scopriremo. Pian piano vediamo il protagonista che da prima esce, poi sedendosi su una collinetta, chiude gli occhi e viene sospinto dall’immaginazione
Spazi di là da quella, e sovrumani
Da quel momento non si è più sulla terra ma tra le candide nuvole. Le tavole, suggestive, sono legate ad ogni verso del componimento che viene interpretato attraverso il volo dell’immaginazione. Egli gode del piacere del vagar. Trascinato dal vento egli fiorisce, il suo pensiero è libero di vagare. Non è un caso che l’artista pone fin dalla prima tavola l’illustrazione di farfalle, esse interpretano il pensiero di Leopardi. Prima piccole poi pian piano, in un crescendo, esse si ingigantiscono fino a diventare i remi di una barca che naviga per i cieli.
Infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovviene l’eterno
Il viaggio prosegue e non possiamo che tornare al nostro pensiero iniziale: cos’è dunque l’infinito? Ognuno troverà il proprio infinito certamente, attraverso la propria siepe. Una cosa è certa, non dobbiamo smettere di “fingere”, solo così avremo sempre il nostro infinito dove approdare, probabilmente l’uomo non avrà mai le risposte alle sue domande, ma guardiamo ai bambini, conserviamo il fanciullino che è in noi, come invita il poeta Giovanni Pascoli. Teniamo sempre attivo quel “tintinnio soave” che ci fa vedere le co2se come la prima volta. Non a caso durante l’epoca di Leopardi, il Romanticismo, si ritorna a guardare all’esperienza infantile, perché si aveva la capacità di fingere, di creare, e quindi, di essere a contatto con la natura ed essere felici. Il bambino crea, creando non subisce la realtà, non è infelice, rende la realtà a sua misura, la fa propria, è artefice del suo destino. L’infinito è troppo grande per esser spiegato, ma non per esser vissuto. Viviamolo e godiamo insieme del suo immenso potere.
L'infinito
Autore: Giacomo Leopardi
Illustratore: Marco Somà Casa editrice: Einaudi Ragazzi Età consigliata: dai sette anni in su
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