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Legno sei e legno tornerai.

Aggiornamento: 2 lug 2024

L’humor nero di Pinocchio



di Clara Sorce





Quando si pensa alla fiaba dal finale perfetto si pensa unanimemente a Pinocchio, fiaba iconica del bel paese nata dalla penna di Carlo Collodi, Pinocchio è la storia di redenzione, dei buoni comportamenti per eccellenza. Come non dimenticare il famoso naso lungo ad ogni bugia detta. A rendere ancor più celebre il suo “happyend” è stata la grande casa di produzione filmografica della Walt Disney. Nella versione disneyania il burattino di legno alla fine delle sue avventure diviene umano, ne è entusiasta. Dopo tante disavventure Pinocchio impara che l’onesta è la giusta via e ciò viene ripetuto, più volte, dalla voce del Grillo Parlante, ossia la “voce della coscienza”. Eppure la fiaba di Collodi è tutta un’altra storia.

Carlo Collodi quando concepisce il suo capolavoro si ispira al romanticismo Europeo.

Il suo gusto fiabesco deriva dai contes des fées Settecenteschi francesi. Così al contrario dei suoi contemporanei Collodi da “voce” all’infanzia dei bambini, veri protagonisti delle sue opere. Bambini pestiferi, disobbedienti che si lasciano ammaliare o che vanno a bighellonare tutto il giorno per le strade lasciandosi sedurre dalle gioie del divertimento.



Il suo autore voleva forse narrare la dura realtà delle campagne e dei bambini che la vivevano? Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino non fu concepito come libro, bensì come serie di racconti, iniziati nell’estate del 1881 quando i curatori del settimanale Il Giornale per i Bambini gli commissionarono una serie di racconti. La prima puntata fu pubblicata il 7 luglio del 1881 con Storia di un burattino. Nei due anni successivi continuò la pubblicazione di nuovi episodi fino al 1883 quando le puntate furono concluse e la storia fu pubblicata da Felice Paggi in un volume con il titolo Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino con le illustrazioni di Enrico Mazzanti. La storia originariamente terminava al capitolo XV con la morte del burattino, appeso a un ramo della Quercia grande, in fondo al quale Collodi aveva posto la parola “fine” il 27 ottobre del 1881. Un finale oscuro che ben si collega al tessuto narrativo fiabesco. Molti non conosco quel primo Pinocchio dal finale oscuro, buio come la notte durante la quale l’autore aveva posto quella parola “fine”.


Legno morto appeso al legno vivo

C’è un primo ed un secondo Pinocchio. Il primo disubbidiente ed ingenuo, il secondo diligente bambino che si redime divenendo così un vero bambino, in carne ed ossa. Il secondo ci è ben noto, ma il primo? Il “primo” Pinocchio Storia di un burattino ci narra una storia differente dall’eroe della fiaba. Pinocchio ha un comportamento poco eroico, si lascia ingannare dal Gatto e dalla Volpe e si pente anche di aver fatto soffrire il babbo, Geppetto, che l'ha costruito. Il primo pinocchio si comporta come ogni bambino che vive la sua infanzia, fatta di giochi e ingenuità. Lo scrittore inserisce il burattino in un universo immaginifico che viene continuamente deformato attraverso le lenti dell’ironia e della parodia, circonfuso da un senso tragico. Tra le righe Collodi cela al suo lettore una sfumatura nera che pian piano si manifesta nel corso della vicenda. È una sfumatura tragica e oscura che caratterizza la vicenda del “vero” Pinocchio.

Chi scrive si assume la libertà di affermare attraverso la parola e l’essenza di Pinocchio, è tutta racchiusa in questa prima parte in cui Collodi scrisse la storia del burattino con un humor nero, gotico, che attinge alla materia più oscura delle fiabe. Oscurità che appartiene al fitto cuore del bosco, scenario di riti, di passaggi che portano alla maturità, e quindi al lieto fine, o a un tragico epilogo. La storia di Pinocchio comincia proprio nel fitto cuore dei boschi, è da li che proviene prima di giungere alla bottega di Mastro Ciliegia. Fin dal suo stato informe prigioniero del pezzo di legno di catasta, già sa esprimersi e protestare. Esiste prima di essere modellato, manifesta il suo carattere, la sua voglia di essere infantile e giocare, ma anche la sue essenza “perfida” tanto da far rabbrividire Ciliegia e convincerlo a donarlo a Geppetto ed è proprio in quel momento che il “monello” ancora informe fa bisticciare i due uomini salutando Geppetto col suo soprannome. Qui troviamo l’essenza pura del burattino che una volta presa una forma deve fare i conti con il volere degli adulti. Di fatti Geppetto inizialmente costruisce il burattino per scopi lavorativi, un balocco per l’altrui stupore, ma quando il suo balocco prende vita il programma cambia, si impone come padre e come tale vuole dare un’istruzione al figlio ed educarlo.

Appena scolpiti i piedi il burattino prende vita, mettendo in atto le sue marachelle. Monellerie che porteranno conseguenze spiacevoli. Di fatto il padre verrà arrestato dai carabinieri e lui tornerà a casa solo. Giunti a questo punto si coglie l’incipit di quell’humor nero caro a Collodi. Il burattino tornato a casa trova un Grillo parlante che lo avverte sul destino dei ragazzi che non rispettano i genitori e che non vogliono andare a scuola, Pinocchio non lo ascolta, uccidendolo, schiacciandolo sulla parete con un martello. L’uccisione di questa creatura è da considerare come atto di ribellione alla petulanza pedagogica, delle letteratura educativa del secondo Ottocento, ma resta ben presente in ogni atto educativo nonostante la dissacrazione letteraria. Geppetto tornato dal carcere decide di mandare a scuola il figliolo birichino vendendo la sua vecchia casacca di fustagno per procurargli l’abbecedario. Pinocchio vedendo i sacrifici del padre per garantirgli un’istruzione inizia a desiderare di adattarsi alle norme della società, ma il suo essere infantile lo spinge ad esplorare il mondo e a cercare il piacere.

Questa è storia nota, Pinocchio non andrà a scuola ma si recherà al Gran Teatro dei Burattini e si farà ingannare dal Gatto e dalla Volpe. Proprio quest’ultimi saranno la causa della morte del burattino. Pinocchio non impara la lezione, la sua ingenuità lo porta a fidarsi dei due truffatori. La sua “fine” comincia all’Osteria del Gambero Rosso. Qui Pinocchio mangerà e dormirà nell’attesa di poter piantare le sue cinque monete d’oro, dategli dal Mangiafuoco, per farli fruttare in un albero dalle monete d’oro. Cullato da quel sogno Pinocchio dorme beato fino a quando viene svegliato dall’oste che gli comunica che i due compagni lo attendono all’alba al Campo dei Miracoli. Pinocchio parte immediatamente, nelle tenebre incontra l’ombra del Grillo parlante che lo avvisa senza successo di tornare a casa perché altrimenti incontrerà gli Assassini, tutto inutile il burattino non ascolta il buon consiglio ed incontra gli Assassini (il Gatto e la Volpe travestiti). I malviventi vogliono le monete d’oro. Pinocchio si rifugia su un pino dove i due Assassini non possono arrampicarsi, per costringerlo a scendere appiccano il fuoco, il burattino salta giù con un balzo e l’inseguimento prosegue fino ad una casina. Pinocchio bussa disperatamente per chiedere aiuto e dalla finestra si affaccia una Bambina, «coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto» spiega che in casa sono tutti morti e che anche lei sta attendendo la bara che la porti via. I due Assassini acciuffano Pinocchio e non vedendosi dare le monete lo impiccano alla Quercia grande lasciando Pinocchio in agonia. Il burattino spera di essere salvato ma non arriva nessuno, invoca suo padre e muore.


“Fine” così si concluse il primo Pinocchio, come Cappuccetto rosso, tradotta da Collodi tre anni prima, la fiaba in questione si conclude con il lupo che mangia Cappuccetto senza alcun salvataggio né resurrezione. Il primo Pinocchio non riesce ad elevarsi, le sue esperienze lo riconducono alla sua natura di legno. Prima come legna da ardere, quando si brucia i piedi, quando sta per diventare combustibile per la cena del Mangiafuoco e infine viene stanato dagli Assassini con l’incendio dell’albero su cui si è arrampicato. In seguito ritornerà alla sua natura con l’impiccagione, legno morto appeso al legno vivo.

Vari illustratori hanno dato forma alle Avventure di Pinocchio ma l’artista che più ha saputo cogliere questa nera sfumatura è Roberto Innocenti. Erede della tradizione di figurinai della prima metà del ‘900 l’artista vanta un vasto campionario di opere tra le quali Pinocchio storia di un burattino edito da Margherita edizioni per il quale vinse il Premio Andersen. Pinocchio storia di un burattino è un raffinato albo illustrato caratterizzato da atmosfere cupe le cui tavole sono costruite da scorci vertiginosi che tolgono il fiato. Lo stile dell’illustratore di fama internazionale si caratterizza per la sua scrupolosa e attenta esecuzione del paesaggio e per lo stretto dialogo tra realismo e fantastico. Roberto Innocente fu un grande innovatore nel campo dell’illustrazione. Le visioni aeree ricche di fitti e finissimi dettagli, gli audaci tagli prospettici, rendono e colgono l’essenza dell’opera collodiana. Memorabili sono due tavole: quella in cui il burattino si brucia i piedi e quella in cui viene impiccato all’albero cavo. Nella prima vediamo un interno angusto e spoglio. In primissimo piano, non troppo al margine, l’arma con la quale Pinocchio uccide il Grillo Parlante: il martello. In fondo, al buio, abbandonato su una sedia, siede l’ignudo burattino con i piedi dentro il braciere.


La seconda è, a parer mio la più suggestiva, seguita da quella del pece cane, la più oscura e straziante di tutte. In una visione dal basso veniamo sopraffatti dagli spogli alberi del bosco, il cielo è plumbeo e piccoli tocchi di neve danno luce alla scena. Al punto di fuga corrisponde la posizione di un edificio, tutto è spoglio. La scena è un paesaggio di sventura, l’occhio naviga per la scena colpito dalla ricchezza dei dettagli. Siamo come degli spettatori e finiti nel cuore del bosco non notiamo subito ciò che è accaduto, rimandiamo il dolore facendoci assorbire dal luogo, ed è cosi che alziamo il capo e notiamo quel dettaglio che ci fa rabbrividire. Appeso ad un albero c’è il corpo senza vita del burattino. La tavola è il punto più alto della narrazione del primo Pinocchio cogliendo l’essenza che l’autore voleva rendere ai giovani lettori e Innocenti ne amplifica il significato. La vera storia rimarrà quella in cui l’autore per volontà sua aveva apposto la parola Fine quel 27 ottobre del 1881.



 

Bibliografia

C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Einaudi, Torino 2008

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