di Clara Sorce
Quando pensiamo alle fiabe pensiamo ad un genere rassicurante, “a lieto fine”. Si pensa che queste siano le più adatte ad un pubblico infantile, principalmente si ritengono idonee per la prima infanzia, ma come osserva Angela Dal Gabbo in Quando i grandi leggono ai bambini non lo sono, per essere comprese dall’infante bisogna attendere che questi maturi abbastanza al fine di acquisire le giuste chiavi di lettura per apprezzarle e comprenderle pienamente. Le fiabe, come ricorda Rodari, non nascono per un pubblico infantile, esse si tramandavano oralmente affondando le sue radici nella tradizione popolare, non esisteva distinzione tra il pubblico, tutti ascoltavano quelle storie. Di fatto solo in tempi relativamente recenti si cominciò a pensare ad una narrativa rivolta all’infanzia cosa che storicamente non accadeva.
In Occidente quando si parla di fiabe unanimemente si pensa alla nota Cappuccetto Rosso. Della nota fiaba ne esistono diverse versioni. La sua origine, come per molte fiabe, è antica e misteriosa.
Gustave Dorè, Cappuccetto Rosso e il lupo travestito da nonna in un'illustrazione
Nel 1696 Perrault la inserì nella sua raccolta di fiabe dal titolo I racconti di mamma Oca. Lo scrittore attinse alla tradizione popolare. La versione diffusa nel Seicento nel Sud della Francia a nel Nord Italia vedeva non una bambina ma una giovane contadina quale protagonista della storia, il lupo mannaro divora la nonna della giovane. Questi ne conserverà qualche brandello di carne in una ciotola e il suo sangue verrà imbottigliato, questi saranno i doni che offrirà il lupo dopo che avrà invitato la fanciulla a spogliarsi e a raggiungerlo nel letto. Con uno stratagemma la ragazza riuscirà a fuggire. Nonostante l’inseguimento del lupo questa giungerà a casa sana e salva. Quando Perrault raccolse la fiaba sostituì la giovane con una bambina e la investì con l’iconica mantellina rossa col cappuccio, ma non solo fece di Cappuccetto rosso un racconto morale, un racconto che ammoniva a non fidarsi dei lupi, ossia gli uomini. Di fatto nella sua riscrittura la bambina viene divorata dal lupo, terminando così senza nessuna salvezza per la piccola.
J. W. Smith, Cappuccetto Rosso e il lupo
Terminando in questo modo Perrault ricollega la sua versione alla mitologia e alla tradizione latina. In un racconto latino del 1023 di Egberto di Liegi dal titolo Fecunda ratis si narra di una bambina che viene trovata in compagna di lupi. Essa indossa un mantello rosso. In Egberto, sei secoli prima del racconto dello scrittore francese, troviamo alcuni degli elementi salienti della nota fiaba: una bambina con un cappuccio rosso, la compagnia dei lupi, la piccola inghiottita viva che torna alla luce illesa e un sasso che viene messo al posto della bambina. Quest’ultimo punto non si va a ricollegare al mito sottolineandone il forte legame tra mito e fiaba? In particolar modo il nesso tra fiaba e mito nel caso di Cappuccetto rosso lo si rintraccia col mito di Cronos.
Cronos che ingoia i suoi figli e che grazie all’astuto Zeus giungono alla salvezza. Questi come la bambina riemergono miracolosamente dal ventre paterno grazie ad un sasso dato in pasto al padre come al lupo. Ma questo lieto fine più che alla versione di Perrault è affine alla versione dei fratelli Grimm. Quella dei fratelli Grimm è la più nota delle versioni, contenuta nella raccolta Kinder- und Hausmärchen pubblicata nel 1857, nella quale si aggiunse il lieto fine dove sia la nonna che Cappuccetto vengono salvate dal cacciatore.
Filo conduttore di questa storia è il colore, una delle caratteristiche più enigmatiche e ancestrali del racconto. Nella storia ci sono pochi ma incisivi tocchi di colore: il rosso, il nero e il bianco. Nella cultura Occidentale questi colori vengono investiti di una carica simbolica ma non solo questi sono i primi colori che l’infante impara a riconoscere fin dalla primissima infanzia. Questi tre colori sembrano costituire uno schema ricorrente che attraversa non solo le fiabe ma anche la letteratura, basti pensare al Corvo di Edgar Allan Poe. Angela Dal Gabbo in Quando i grandi leggono ai bambini sottolinea quanto questi colori siano «icasticamente vivi da risultare subito caratterizzanti». Tinte visivamente equilibrate ma al contempo cariche di significati simbolici tanto da innescare da sole un tessuto narrativo. Il bianco colore della purezza dell’innocenza, il nero colore della paura, del silenzio, del terrore ed in fine il rosso il colore delle forti emozioni, il colore del sangue.
In tutta la fiaba il rosso è la caratteristica principale. Il cappuccio rosso identifica e personalizza la bambina tanto da chiamarsi Cappuccetto rosso non si conosce il suo vero nome.
Cappuccetto rosso è amata perché si lascia tentare dal piacere e il grosso lupo cattivo ci attrae, come Cappuccetto. Ciò che dobbiamo chiederci è cosa ci attrae di questa storia, forse il candore innocente della piccola che si abbandona ai piaceri, specchio dell’ambivalenza del bambino di fronte al dilemma se vivere in accordo col principio di piacere o col principio di realtà, o l’oscurità, la paura. Paura che Cappuccetto enunciò dopo esser stata liberata
La bambina saltò fuori dicendo fra le lacrime: Ah che paura! Che buoi c’era dentro il corpo del lupo!
Forse amiamo questa fiaba proprio perché come Cappuccetto vogliamo andare incontro alla paura, a quell’antro buio che è la pancia del lupo. Come lei proviamo paura di quel buio che è il riflesso della disobbedienza e per questo venivano avvolti dalla notte buia dei terrori. Cappuccetto salvandosi rivede la luce, una nuova luce che è la comprensione delle esperienze emotive.
Gustave Dorè, Cappuccetto Rosso e il lupo travestito da nonna in un'illustrazione
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