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48, morto che parla. Il giorno dei morti in Sicilia.

Aggiornamento: 7 lug 2024


di Nathalie Rallo








Quando ero bambino, ricevevo il regalo il 2 novembre, vale a dire il giorno dei morti, perché la tradizione voleva che in quel giorno i morti, durante la notte precedente, fossero tornati nelle loro case e portassero i regali ai loro discendenti.

Andrea Camilleri



Tanti anni fa nella bella Sicilia nacque uno scrittore in grado di ricordare con tanta dolcezza le sue tradizioni legate al giorno dei morti. Questa è la storia del "cannistru" (cesto dei morti), un dono che l'antropologo italiano Carlo Severi descrive come un rito di passaggio tra cielo e terra; al vertice della sua analisi il bambino.


Archivio social di Maria Oliveri
Archivio social di Maria Oliveri

Carlo Severi apre un dialogo storico-memoriale in chiave identitaria. Nel Giorno dei Morti i bambini ricevevano il cannistru con dentro dolci, frutta secca, fichi, melograni e la pupaccena (il pupo di zucchero). Il legame è molto antico, per spiegarlo l'antropologo prende ad esempio il nonno e il nipote. Il morto ovvero il nonno, in questo caso, si faceva riempire le scarpe di doni ( il primo cannistru). L'antico uso di deporre i dolci dentro le scarpe si ricollega alla vestizione della salma: il cadavere non porta le scarpe, queste vengono deposte dentro la bara per far percorrere meglio all'anima il suo viaggio. I bambini nel giorno della loro memoria, giravano per il paese con il "cannistru" in mano dicendo “talia chi belli morti chi mi purtaru” (guardate che bei doni mi hanno portato) e i "morti" rappresentano i regali. Al bambino che di solito portava il nome del nonno defunto ed elogiava i doni per il paese veniva risposto così: “lu nonno ti portà li morti” ( il nonno ti porta i doni). In questo caso le due espressioni propongono un'equivalenza e una sovrapposizione. I donatori sono i morti ma i morti sono gli alimenti, ovvero i doni. L'identificazione è un processo più complesso, il bambino che porta il nome del nonno defunto è nello stesso tempo il dono e il destinatario. I dolci sono il dono al morto ma sono ricevuti dai bambini, coloro che sono vita nuova ma anche tradizione che rimanda al passato da celebrare. I bambini sono il cerchio della vita dove si muore e si rinasce per avere un senso di continuità, al centro della loro identificazione vi è la memoria cioè quel ricordo che invoglia i parenti vivi a non dimenticare e celebrare una perdita come un ritrovo gioioso.


Nella tradizione sicula oltre alla simbologia del morto-bambino è giusto citare l'importanza degli alimenti, questi dolci sono storia-simbolo e possiamo scorgere la loro origine grazie alle ricerche demologiche. Antonio Buttitta, figlio del celebre poeta Ignazio Buttitta sostiene:


«Come tutte le feste religiose pagane, anche la Festa dei Morti, ha significati ambigui», dichiara, «da una parte è una festa in cui s’invitano le anime dei morti (i Pupi), a cena, dall’altra sono gli stessi morti che vengono a cenare con i vivi».


Archivio social di Maria Oliveri.
Archivio social di Maria Oliveri.

Il pupo di zucchero meglio conosciuto come "la pupaccena" ha origine risolute. La storia narra che, probabilmente, questo dolce antropomorfo siciliano sia nato in realtà a Venezia nella corte di Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici. Durante una cena Enrico III chiese di rendere quella cena spettacolare, ordinò ai suoi commensali di creare delle sculture con lo zucchero (alimento ricco importato da Palermo). Dopo aver visto quelle sculture belle e fragili, i marinai che avevano trasportato lo zucchero nel Veneto di ritorno in Sicilia, importarono una nuova tradizione, dove il Pupo di zucchero raffiguravano i cavalieri francesi. Il legame con la festa dei morti è certamente collegato all'importanza delle tradizioni, nel cesto dedicato ai morti, i dolci sono figure antropomorfe che ricordano parti del corpo come i biscotti chiamati l'oss’i muortu (ossa di morto) e ancora la frutta martorana che ricorda i frutti secchi (un augurio per la fertilità). L'etnografo Ignazio E. Buttitta, ricordando le parole del padre:


Si nun vennu li morti, nun caminanu li vivi.
Se i morti non vengono, i vivi non camminano.


Ignazio E. Buttitta sa bene che cosa siano le tradizioni e come il ruolo della morte sia un dialogo continuo fra passato e futuro, dove alimenti e tradizione sono parte della nostra identità. Le tradizioni raccontate in questa lettura, seppur strettamente legate alla Sicilia, prendono posto in un panorama internazionale. In tempi recenti la Disney Pixar con il film d'animazione Coco svela il panorama del "Dìa de los muertos", ossia il giorno dei morti in America latina. Qui si rintraccia una correlazione tra la pupa a cena, dolce fatto di acqua e zucchero sono i loro Calaveras (teschi di zucchero), la Ofrenda decorato con le immagini dei defunti e i petali di calendula, questo altare votivo, esiste anche in Sicilia e si chiamano Lararium. Questi due esempi estrapolati dalle tante tradizioni celebrative che accomunano due realtà lontane ma comunque legate da riti pagani, ci svelano l'importanza del singolo individuo, del ricordare quindi, celebrare con folclore.


Il folcloristico è l’essenzializzazione del folklore.

Rosario Perricone


Voglio terminare questa lettura con una poesia per i cari "muitticeddi" (morti), un dono per chi ancora fantastica come un bambino.



IL GIORNO DEI MORTI


Il "Giorno dei Morti", mi ricordo,

era la festa dei piccolini;


appena tutti svegli era un accordo

di grida, trombettine e tamburini.


La notte prima quasi non si dormiva

col pensiero di questa sorpresa

e in certe famiglie, mi sembra,

che questa tradizione ancora duri!


Ai piccoli si dice che i nonni,

o il padre o la madre morta, questi regali

li portano ai bravi. E sono inganni

fatti per amore e non per cattiveria.


Quand`ero piccolo non c`era l`abbondanza

d`ora, ma qualcosa si trovava,

anche se si dormiva con la speranza

che nostro padre non se lo scordasse.


Una mattina (il pensiero va lontano),

sotto una tavola apparecchiata

con noci, pupo di zucchero e marzapane,

trovai una bicicletta ridipinta.


E ancora oggi, il Giorno dei Morti,

pure se ormai non è più quella l`età,

davanti a una tavola così apparecchiata,

sollevo la tovaglia... non si sa mai, chissà!


 

Bibliografia


Ignazio E. Buttitta, I morti e il grano. Tempi del Lavoro e ritmi della festa, Meltemi, Roma 2006.


Rosario Perricone, Oralità dell'immagine. Etnografia visiva nelle comunità rurali siciliane, Sellerio editore Palermo, 2018.


Jornu di li Morti, Dal Giornale di Sicilia del 2/11/1985.




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