di Clara Sorce
La prima volta che mi approcciai ad un silent book ero una studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Palermo alle prese con la sua tesi triennale in Didattica dell’Arte.
Ne stavo analizzando uno per la sua struttura e composizione del testo a cura dell’associazione Hamelin di Bologna, Ad occhi aperti. Leggere l’albo illustrato. All’epoca non compresi che si trattava di un albo silenzioso ma sapevo di certo che quelle tavole mi avevano totalmente rapito, tanto che di impulso acquistai l’albo. L’albo in questione era Martedì di David Wiesner. Potete immaginare la sorpresa quando non vidi una serie di frasi ma solo una indicazione iniziale che l’autore da al lettore per cominciare il gioco della lettura. Quell’albo mi spiazzò ma al contempo mi diede una grande soddisfazione, un piacere per i miei occhi e per la mia mente. Non si trattava per niente di un albo silenzioso quell’albo era, ed è, brulicante di voci. Allora mi chiesi perché chiamarli silent book? Per definire questo genere di picturebook si è diffuso, ampiamente in Italia, l’espressione anglofona silent.
«L’adozione di questa espressione sovralinguistica fa pensare alla maggiore inclinazione retorica e metaforica dell’italiano rispetto alla natura più pragmatica e descrittiva della lingua inglese» (Terrusi, p.30). Nel 1999 il critico d’arte usò la parola silent book per definire il lavoro del designer Alekesej Brodovič invitando all’ascolto di un “visibile silence”. A tal proposito come non soffermarsi sulle suggestioni critiche che questi albi nel tempo hanno avuto principalmente rivolte al “rapporto sintetico” tra questi libri le immagini, i suoni, le rappresentazioni, e gli esercizi dello sguardo e la produzione del linguaggio. Silenzio che non viene percepito dal lettore che lo trova al contrario stimolante, rumoroso e affollato. Per il lettore un silente book è «un passaporto che garantisce la possibilità di una cittadinanza attiva nell’immaginario collettivo: diritto che permette a tutti i bambini di diventare lettori di parole e immagini e di accedere a opere visuali capaci di creare legami» (Terrusi, p.19). Per cui, tornando al suo significato, possiamo riconoscere a questa espressione un valore positivo nella sua “brevità” e nell’evocazione di un silenzio collegato all’essenza del testo scritto, suscitato dall’assonanza con il termine italiano “silente”o “silenzioso” e non dalla traduzione esatta dell’aggettivo inglese che è letteralmente “muto” o “zitto”.
Silente vuol dire “immerso nel silenzio” o “non disturbato da alcun rumore”. Ecco quando si legge un silent book si entra in quella dimensione di totale immersione che nessun “rumore” esterno può distogliere la nostra attenzione dalle tavole del libro. L’aggettivo inglese che letteralmente significa “muto” non calza a questi albi perché in questi dimorano supporti diversi come le storie che narrano. Si tratta di libri brulicanti, come indica lo stesso termine in tedesco per definirli wimmelbücher, la cui vocazione è rivolta all’immagine. Libri “muti” per il nostro godimento, per stuzzicare la nostra vista e il nostro intelletto non a caso quando “leggiamo” un silente book siamo portati ed invitati ad aguzzare lo sguardo per cominciare il gioco della caccia al tesoro. Le immagini svelano linguaggi e trame volti alla sorpresa. Non è d’altronde un caso praticare una lettura di quest’albi come se fosse “un’indagine” ponendoci domande aperte - come, cosa, chi, dove, quando, perché - per raccontare ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, ma non solo tale pratica incoraggia la conversazione e l’ascolto reciproco delle letture e delle interpretazioni personali. Ma in fin dei conti i modi di leggere un silent book sono tanti e svariati.
Quando i bambini o i ragazzi si approcciano ai silent book si può percepire visivamente il loro stupore e la sorpresa nel relazionarsi con un libro senza parole. La lettura di un racconto per immagini svela meccanismi sorprendenti che ho avuto il privilegio di osservare sul campo durante lo svolgimento di laboratori ideati e condotti da me in vari contesti educativi ma sempre con lo stesso albo, proprio quello che mi aveva lasciato senza parole Martedì.
Quando cominciavo l’attività con l’albo in mano i toni di "dissenso" cessavano quando aprendolo si trovavano un albo dalle tavole sorprendenti, come calamite per l’attenzione. In loro c’era del sollievo, si trattava di leggere lasciando che il flusso narrativo si innescava come un gioco una, lettura condivisa dove tutte le voci erano ascoltate, accogliendo punti di vista e opinioni diverse dalle proprie. Abbiamo letto insieme dall’inizio fino alla fine cogliendo il senso della storie, e che divertimento quando si tornava indietro perché colpiti da quel dettaglio che poco prima ci era sfuggito. Questo racconto testimonia quanto quest’albi siano efficaci e a tal proposito non posso che concludere questa breve analisi con le parole di Marcella Terrusi per descriverli contenute ne Meraviglie mute. Silent book e letteratura per l’infanzia
Gli albi senza parole sono rituali di benvenuto dedicati al percorso della formazione dello sguardo, vocabolari di introduzione alle narrazioni visive che raccontano la complessità con cui il linguaggio delle immagini mette in comunicazione lettori, figure, storie travalicando tempo e spazio, motivando il lettore a nuove scoperte mentre lo dilettano.
Bibliografia
Marcella Terrusi, Meraviglie Mute. Silent book e letteratura per l'infanzia. Carocci Editore, 2017.
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