Il luogo delle trasformazioni
di Clara Sorce
Vorrei cominciare questo articolo col porvi una domanda, a parer mio “stuzzicante”, nella quale mi sono imbattuta durante la lettura di Arte per Crescere. Idee immagini laboratori di Paola Ciarcià e Marco Dallari. La domanda in questione è la seguente:
Il fare di un bambino o di una bambina in un laboratorio è artistico o no?
Gli atelier sono luoghi in cui avviene una “trasformazione” ossia il fare artistico che vede il coinvolgimento della mente, del corpo, delle emozioni ma anche di tecniche, strumenti e materiali.
Salvo Pitruzella in Educazione all’arte/arte dell’educazione. Il paradigma Creare: un contributo al rinnovamento pedagogico illustra una massima tratta dalla Didattica Magna del pedagogo boemio Comenius che “traduce” in:
Creando, creiamo noi stessi.
«Creando, creiamo noi stessi» significa molto. Significa che trasformando la materia trasformiamo inevitabilmente noi stessi, significa che aprendoci a nuove prospettive mutiamo costantemente.
Questa riflessione non si limita solo alla sfera dell’infanzia ma all’intera esistenza. Al fine di ciò dobbiamo riflettere sul nostro pensiero nei confronti dell’arte e dei luoghi in cui la si produce. Dobbiamo ripensare agli atelier come luoghi privilegiati dove non si riduce tutto alla mera produzione, al cosiddetto “lavoretto”, ma come luoghi in cui si da valore all’esperienza. Esperienza che vede bambini e bambine attivi del fare con le loro capacità, pensieri, trasformazioni, orizzonti, creatività, curiosità, passioni, interessi. Per alimentare questa fiamma l’atelierista deve essere colui che sia capace di accogliere, dialogare, ascoltare, pronto a ricevere la discussione e il confronto che muta in azione. Per auspicare a ciò dobbiamo ripensare ed interrogarci sull’incontro dei bambini con l’arte.
L’arte contemporanea - un’arte che è specchio del tempo di bambine e bambini, un’arte spesso più vicina alla filosofia che alla letteratura - diviene una preziosa alleata per far approcciare i bambini all’arte. L’arte contemporanea, più o meno esplicitamente, è carica di elementi ideali e concettuali al fine di porci quesiti, riflessioni, ragionamenti. È un’arte che non si contempla, al contrario, è filosofica perché questa è partecipativa. Partecipiamo alla condivisione di un pensiero, cosi l’arte diventa attiva e quando questa viene a contatto con i bambini negli atelier porta all’abbattimento degli stereotipi portando all’espressione totale di questi. Nel saggio Il colore dei pensieri e dei sentimenti le attività artistiche nella scuola dell’infanzia, contenuto in Nostalgia del futuro. Liberare speranze per una cultura dell’infanzia a cura di Susanna Mantovani, Francesco De Bartolomeis sottolinea come l’arte contemporanea per bambini e bambine permette loro di sperimentare con una varietà di materiali, procedimenti, tecniche e di modi espressivi quali l’uso di materiali extrartistici, multimediali, espressioni informali e molto altro. Spesso negli atelier si creano delle vere e proprie istallazioni sitespecif che spesso e volentieri travalicano le mura di scuole, musei e gallerie per ampliarsi in spazi aperti dove si attuano incontri, scoperte, intrecci, relazioni possibili o surreali. Si tratta di luoghi dell’ascolto e dell’operare creativo e concreto, dell’esperienza e della formazione di pensieri.
Torniamo al nostro quesito col quale abbiamo aperto questa riflessione: All’interno degli atelier il fare dei bambini è artistico? Bambini e bambine impiegano un grande impegno creativo, manipolativo, intellettuale al pari di un artista, sta a noi adulti dare valore a ciò che si compie all’interno di questi luoghi. Questo pensiero si concretizza in un luogo dove la pedagogia, la didattica e la didattica dell’arte hanno avuto, della fine del Novecento, un grande sviluppo portando ancora oggi linfa vitale: Reggio Children.
Trent’anni fa Loris Malaguzzi ebbe l’intuizione dell’idea dell’atelier. Perché creò gli atelier? Nel saggio Malaguzzi e l’atelier: complessità dei possibili 1, contenuto in Nostalgia del futuro. Liberare speranze per una cultura dell’infanzia a cura di Susanna Mantovani, Alfredo Hoyuelos sottolinea lo stretto rapporto tra l’arte e Malaguzzi. Il pedagogo trae dal sistema dell’arte alcune delle idee che lo hanno portato a concepire, con estrema originalità, il progetto dell’atelier. Progetto che seppe mettere in rapporto con l’insieme del suo progetto pedagogico. L’atelier viene concepito come un’osmosi con gli altri linguaggi, come “via” di uscita dagli stereotipi collegato all’idea di formazione culturale circolare e diversificata nell’ottica dei cento linguaggi del bambino. Così nell’atelier si crea una compresenza dei linguaggi. L’atelier e l’atelierista in quest’ottica si “fondono”. L’atelierista con le sue competenze professionali, sostiene il bambino nello sviluppo delle proprie “ricchezze” ossia l’espressione, lo stile, il pensiero che si nutre del dialogo con le discipline. Una relazione sinergica dei differenti linguaggi al fine di costruire insieme nuovi orizzonti. Per concludere vorrei lasciarvi con un pensiero di Loris Malaguzzi che ben coglie l’atmosfera attorno gli atelier.
L’arte si apprende fuori dall’arte, il disegno non si impara solo disegnando. Certo c’è necessità di apprendimento di tecniche, ma si impara sia disegnando che facendo altre cose… e di converso, la logica si impara anche dal disegno, progettando e costruendo… L’arte ha i vestiti di tutti i giorni, non l’abito della domenica.
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