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Non chiamateli lavoretti

Aggiornamento: 2 lug

di Clara Sorce





In tempi recenti si sta assistendo, nelle istituzioni formali e non formali, ad una presa di consapevolezza dell’importanza delle “arti” nella sfera educativa di bambini e ragazzi. L’arte visuale, come le arti performative e musicali, è un linguaggio veicolare per eccellenza che nel corso del tempo è diventata una disciplina specifica, una materia. Materia che non ha goduto nel tempo di quel “lustro” che le si doveva attribuire. Ciò che oggi dobbiamo chiederci è: a quale direzione educatori, insegnati e istituzioni, formali e non, stanno mirando. Una direzione consapevole o una direzione legata ad un compiacimento accademico dell’adulto? Se ben sfruttata, ossia utilizzata con consapevolezza, l’arte diviene una risorsa educativa potente. Ciò significa immettere processi intellettuali, elastici, capaci di creare collegamenti tra le varie discipline del sapere, immaginative e creative. Si tratta di desumere dall’esperienza artistica idee, metafore, paradigmi e repertori simbolici. Occorre pertanto fare dell’arte un pilastro dell’immaginario e dei processi di co-costruzione delle conoscenze.



Si auspica che la via da perseguire sia quella in cui nei luoghi di educazione formale e non l’arte sia una valida risorsa educativa, soprattuto nelle scuole di ogni ordine e grado. Bisogna soprattutto «cercare di immettere nei processi intellettuali, immaginativi e creativi dei giovanissimi le idee, i paradigmi, le metafore e i repertori simbolici desunti e suggeriti dall’esperienza artistica».In quest’ottica le opere d’arte, con la loro genesi e la loro storia, si presentano come modelli paradigmatici del modo in cui il sapere si forma e si consolida permettendo a una società di rappresentarsi attraverso esse.


Salvo Pitruzzella nel suo testo Educazione all’arte/arte dell’educazione. Il paradigma creare: un contributo al rinnovamento pedagogico sottolinea che «le principali qualità che devono essere sviluppate nei cittadini del terzo millennio per permetterci di affrontare il futuro siano empatia e creatività». Quest’ultima «è ciò che può sostenerci nel trovare strade innovative per non farci schiacciare dai cambiamenti sempre più veloci di una società planetaria, ma governarli e quando è necessario rifiutarli, e proporre alternative che non ledano la nostra dignità di esseri umani e non mettano a repentaglio la vita stessa del pianeta. Per far questo, dobbiamo lanciare il nostro pensiero oltre gli schemi, non dare per scontato che le cose ‘sono come sono’: il pensiero cavalca l’immaginazione, e ci permette di scoprire il nuovo. E sono convinto che l’Educazione alle Arti possa dare un contributo importante a questa Paideia, in quanto, […], empatia e creatività sono due qualità intrinseche». In questa visione la relazione educativa gioca un ruolo fondamentale, senza di essa non può esserci educazione. Le relazioni che si formano all’interno di un gruppo sono esperienze formative che contribuiscono all’equilibrio psicologico e alla crescita dei bambini. Ma come possiamo alimentare costantemente tale equilibri e non far divenire tale relazione un incubo?



A tal proposito Pitruzzella cita Dan Siegel che sosteneva che: «l’educazione è un’arte costruita sulla relazione tra maestro e alunno che aggancia i meccanismi neuroni dell’apprendimento» e ancora che «il cervello apprende attraverso la relazione». L’autore ci invita a riconosce i nostri sistemi emozionali di base, a governarli, in modo tale da potenziare la cura, il gioco e la ricerca, e inibire la collera, la paura e l’ansia, al fine di consentirci di instaurare un ambiente educativo efficace perseguendo così il pensiero di John Dewey che sosteneva che la scuola è un processo di vita, intendendo quel processo di vita che va valorizzato e lasciato libero di esprimersi. Ciò tuttavia corre il rischio di cadere, da parte di educatori e insegnati, in quel compiacimento che porta all’omologazione e alla frustrazione di bambini e ragazzi. Non si da il giusto valore all’esperienza che cade spesso in una errata interpretazione, avvilente, della produzione artistica di bambini e ragazzi che viene ridotta al puro “fare”. Un “fare” povero di contenuto intellettuale, privo di collegamenti multidisciplinari, senza coglierne le intenzionalità culturali, riducendo tutto ad una fruizione immediata. Qui bisogna chiedersi se il lavoro di bambini e ragazzi possa essere considerato come un lavoro artistico, un lavoro che ha pari dignità di un lavoro inserito nel “sistema dell’arte” liberando dalla nomenclatura “lavoretto” che ne toglie dignità e qualità di produzione artistica.


La riflessione che devono porsi docenti, educatori e animatori culturali è sull’abbattere il giudizio in virtù della trasgressione, della contaminazione e della rifondazione, cosa che accade di rado nel sistema educativo che al contrario tende a organizzarsi secondo regole e canoni, creando le condizioni per cui si possa riconoscere il loro uso “giusto” o “sbagliato”. Se si analizza il percorso della storia dell’arte si coglie che la ricerca, la sperimentazione e l’invenzione all’interno di ogni alfabeto e in ogni ambito delle produzioni simboliche porta a una ridefinizione di regole e canoni che consequenzialmente porta al conflitto e alle polemiche tra i “conservatori” e i “progressisti”, conflitti legati alla «semplice incompetenza simbolica delle persone meno culturalmente dotate che, incapaci di riconoscere il valore dell’innovazione, trovano più rassicurante mantenere abitudini simboliche consolidate».


Tale fenomeno nell’ambito artistico più volte si è manifestato ne è un esempio la vicenda artistica di Caravaggio, quando il popolo romano giudicò “blasfeme” le sue opere per via del suo realismo considerato, al contrario, dai suoi sostenitori come un contributo straordinario al rinnovamento della tecnica pittorica. Ritornando al sistema educativo e alla materia “arte e immagine”, estendendolo all’intero del sistema della scuola dell’infanzia e primaria, ciò accade ancora oggi di fronte alle produzioni dei bambini, e non solo, non si tengono neanche in considerazione i movimenti avanguardistici o le produzioni meno convenzionali dell’arte contemporanea. Si coglie il timore che l’innovazione possa rendere obsolete e non più interessanti gli stili e le tecniche consolidate. Chi si occupa di educazione deve auspicare ad un incremento delle conoscenze e delle competenze relative alla sfera dei linguaggi - quali: parole; immagini; suoni; corpo - e che ciò avvenga in un equilibrio fra natura (soggettività) e cultura (collettività) e che si mantenga nel corso del tempo attraverso le qualità di flessibilità e di eccedenza, che caratterizzano gli apparati simbolici utilizzati nell’arte. «L’arte, in tutte le sue manifestazioni, diviene così modello di riferimento della relazione educativa capace di introdurre nei processi d’inculturazione di bambine e bambini, di ragazzi e ragazze, la consapevolezza che i linguaggi non vanno solo imparati ma possono essere anche trasgrediti e re-inventati rispetto alle regole e ai canoni tradizionali».



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