Bello e Brutto
- clara sorce
- 13 feb
- Tempo di lettura: 4 min
Arte per costruire competenze critiche ed estetiche
di Clara Sorce
Quest’anno in atelier più di una volta mi è capitato di sentire queste affermazioni:
Il mio disegno è brutto mentre quello del compagno o della compagna è bello;
Non sono capace di disegnare perché gli artisti fanno cose belle.
Premetto che, a parer mio, non esiste un bello e brutto assoluto, perché questi “giudizi” che entrano nel campo dell’esteta appartengo molto alla sfera del gusto personale. Pertanto si entra in un ambito soggettivo e non oggettivo, che tradotto nel mio atelier è il “giusto modo”. Tutti noi abbiamo un segno che ci appartiene tanto quanto le nostre impronte digitali, esso determina il nostro stile personale, che è la nostra stessa essenza. Lo stile comunica tanto di noi, le nostre passioni, il nostro carattere e ancora, questo ci permette di costruire, plasmare il nostro diario emotivo attraverso le opere che creiamo pertanto non possiamo “etichettare” la nostra personale produzione artistica con giudizi quali bello e brutto, o, peggio nelle scuole con dei voti. Il giusto modo è l’impiego sapiente e coscienzioso delle tecniche e della composizione che ci permettono di esprimerci al meglio. Questa riflessione non la pongo soltanto a voi lettori ma anche ai miei piccoli e grandi alunni che come esseri emotivi ed empatici vivono il turbinio dell’evoluzione e della trasformazione. Ecco allora che l’insegnate, l’educatore, i genitori e in generale tutti coloro i quali si occupano di educazione devono sostenere, infondere fiducia, credere in quegli esseri che sono bambini e ragazzi che sia affacciano al mondo.
Ma entriamo nel merito della questione del bello e brutto per tracciarne le linee di una storia che ci permetterà di trasformala in materia per costruire insieme ai bambini e ai ragazzi competenze consapevoli, critiche ed estetiche sulle qualità che determinano le scelte e i giudizi. Ciò che riguarda l’aspetto che determina il bello e il brutto, ossia ciò che ci attrae e ciò che ci provoca repulsione comincia a determinarsi a partire dal Settecento, quando il filosofo Alexander Gottlieb Baumgarten, fondatore dell’estetica, concepisce la teoria della conoscenza sensibile in cui affermava che «uno dei compiti di questa nuova disciplina filosofica è occuparsi “del bello e delle arti liberali”» (Dallari; pag. 57).
Così il filosofo riconosce quanto il “bello” fa parte del processo di costruzione delle conoscenze, del giudizio e delle rappresentazioni. Più tardi Johann Joachim Winckelmann, studioso delle arti vissuto nel Settecento, sosterrà una concezione formale e razionale “oggettivabile” della bellezza che per essere riconosciuta come tale deve rifarsi ai modelli della classicità. Il Winckelmann opera in un periodo storico in cui il Neoclassicismo non solo influenza le arti tutte ma anche il pensiero tanto che il pensiero dello storico dell’arte si deve intendere nel “denudare” artista e fruitore dalle passioni per cogliere a pieno la “nobile semplicità, misura, armonia, quieta grandezza”. Fin dai primi germogli non si contempla il brutto ma solo il bello, fino alla rottura del Novecento. A partire dagli impressionisti gli artisti rompono e contraddicono le regole canoniche creando nuovi modelli e nuove forme d’arte dove bellezza e bruttezza sono libere di esprimersi. I margini sono rotti le opere vengono concepite volutamente brutte sostenute dalle nuove concezioni filosofiche, quali la Fenomenologia e l’Esistenzialismo, attente alla soggettività. Con l’avvento della psicologia si riconosce come la bellezza non sia soltanto nell’opera in sé, come le caratteristiche di un oggetto, «ma nell’emozione determinata dall’incontro di qualcuno con qualcosa che viene riconosciuto come bello. Di fronte ad un’epifania della bellezza c’è sempre, dunque, la “collaborazione” fra l’osservatore e l’oggetto osservato» (Dallari; pag. 59).
Nel 1995 Daniel Goleman parlerà di intelligenza emotiva e come questa sia una componente fondamentale per comprendere e imparare a far i conti con il proprio, e altrui, sentimento della bellezza. Finora il focus della nostra ricerca ha visto il bello come “protagonista” ma questo non è così, perché pian piano che si procede con il flusso degli eventi ci si rende conto di quanto il “brutto” prenda la scena marginando il bello, tanto da farlo diventare un pretesto di disagio senza tener conto della nostra intelligenza emotiva. Perché bandire la bellezza? Umberto Eco ci porta nella dimensione dell’arte presentandoci modelli estremamente belli di bruttezza come i ritratti e gli auto ritratti di Francis Bacon o il Martirio di S. Lorenzo di Tiziano pertanto questi esempi ci illustrano quanto non ci possa essere il bello senza il brutto. Bello e brutto sono due contraltari dialettici che non possono esistere l’uno senza l’altro. L’uno non può essere pensata e riconosciuta senza la comparazione concettuale ed estetica dell’altro.
Alla base di ogni espressione di bellezza o bruttezza c’è sempre l’esperienza dello stupore. Pertanto educare alla bellezza significa educare la nostra competenza emotiva e la nostra sensibilità, tale da creare quella che David Hume definisce “delicatezza dell’immaginazione”. Pertanto oggi come atelieristi, educatori, insegnanti, animatori dobbiamo sostenere la costruzione e la creazione di bambini e ragazzi che non comprende soltanto la costruzione della propria personalità ma anche della formazione del gusto a cui si accompagnano i molteplici linguaggi dell’arte, non solo della cultura d’appartenenza, le differenze, le contraddizioni, le complessità, gli ideali e la poetica che portano al concepimento consapevole ed emotivo delle produzioni di bambini e ragazzi. Così facendo, loro comprenderanno che il contrario di bello e brutto sono la rozzezza e l’ignoranza emozionale, pertanto godiamo e sosteniamo l’epifania dello stupore, genesi psichica del sentimento estetico.
Bibliografia
Marco Dallari e Paola Ciarcià, Arte per crescere, Artebambini Edizioni
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