di Clara Sorce
Il gioco è un fenomeno fondamentale dell'esserci, altrettanto originario e indipendente come la morte, l'amore, il lavoro e il dominio, ma non è coordinato con gli altri fenomeni fondamentali da un comune tendere allo scopo finale. Sta per così dire di fronte ad essi, per comprenderli in sé rappresentandoli. Noi giochiamo il serio, giochiamo l'autentico, giochiamo la realtà, il lavoro e la lotta, giochiamo l'amore e la morte. E giochiamo perfino il gioco.
Eugen Fink, Oasi della gioia. Idee per una ontologia del gioco (1957).
Faber e ludens sono due facce di una stessa moneta, una doppia visione che spesso caratterizza la vita di molti esseri umani, tra questi, lo scultore americano Alexander Calder. Uno spirito ludico, quello di Calder, figli d’arte, padre scultore e madre pittrice, che fin dall’infanzia concepisce la materia come fare ludico. Fin da bambino crea giochi per sé e accessori per le bambole della sorella, da adulto la sua vocazione artistica non si manifesta da subito, avviene come una rivelazione durante un viaggio. Il suo fare artistico lo vede, come lo definisce Carlo Argan, come
L’ultimo operaio libero, ingegnoso, inventivo in una società per cui l’operaio serio è un robot.
Chi era questo spirito ludico? Bambini e bambine possono comprendere questo artista che invece di risolvere complicati rompicapi di geometria si diverte a fabbricare congegni che hanno il solo scopo di divertire, divertendo e dirottando il fruitore sul canonico impiego dei materiali industriali. Paola Ciarcià col suo albo Calder edito da Artebambini ci restituisce non solo un ritratto puntuale dell’artista, ma anche un’autentica galleria d’arte in cui vi è esposta la personalità di questo straordinario artista. Calder è un’opera d’arte a tutto tondo in cui ogni singolo aspetto è curato in ogni minimo dettaglio, dettaglio attento e puntuale che caratterizza la poetica e le opere dello scultore americano. Nell’albo si rintracciano forme, colori e perfino andature di immaginazione del font che ricordano le sculture dell’artista in cui le forme vuote hanno lo stesso valore plastico delle piene. Paola Ciarcià attraverso le opere dell’artista ne ripercorre la vicenda biografica, dall’infanzia fino all’età adulta, con la corrispondenza di ogni sua fase evolutiva in termini di ricerca poetica. Il testo, alto, è ben comprensibile ai bambini che approcciano ad una prima alfabetizzazione dell’arte figurativa.
Come detto sopra Calder non muove i suoi primi passi nel mondo dell’arte ma nel campo dell’ingegneria meccanica. Sperimenta diverse mestieri prima di comprendere che l’arte è per lui l’unico modo per “giocare” con la gravità, lo spazio, l’equilibrio. Questo viene raccontato dalla Ciarcià in maniera poetica, puntuale senza tradire una vocazione biografica. Ciò che più mi ha colpito è la tavola in cui l’autrice descrive il viaggio che Calder compie a ventiquattro anni in Sud America a cui si affianca l’opera Untitled, 1946. L’opera intensa mostra l’immensità del sistema solare, ma non solo, affiancata al racconto essa diviene evocativa. Un giorno all’alba il solo era rosso come il fuoco e dalla parta opposta brillante, un perfetto equilibrio, che colpì l’artista tanto da diventare tale proprio un mese dopo quel viaggio. Da quel passaggio biografico la narrazione si fa sempre più crescente come la poetica dell’artista fino a culminare con il suo periodo maturo. Ogni fase della narrazione viene scandita dalle opere dell’artista fino ai suoi mobiles, sculture filiformi dalla morfologia arborea il cui moto non ha nulla di meccanico, si tratta del recupero naturale, perché come per i rami e le foglie di un albero che si muovono con il vento lo stesso accade per i mobiles. Calder di Paola Ciarcià ci racconta di un uomo e di un artista che seppe guardare il suo tempo con sguardo ludico. Le sue forme come aquiloni si muovono al ritmo della vita “moderna”.
Calder
Autrice: Paola Ciarcià
Casa editrice: Artebambini
Età consigliata: dai sei anni in su
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