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Fiabe italiane

Aggiornamento: 2 lug 2024

di Clara Sorce





La prima spinta a comporre questo libro è venuta da un’esigenza editoriale: si voleva pubblicare, accanto ai grandi libri di fiabe popolari straniere, una raccolta italiana. Ma che testo scegliere? Esisteva un “Grimm italiano?”

Italo Calvino



Siamo nel 1956, nel secondo dopo guerra, gli animi sono smorzati dall’esperienza della guerra appena conclusa. Guerra che aveva segnato profondamente ogni essere umano. In quell’anno ci si interrogò molto su come “ricostruire” le varie Nazioni colpite e nel caso dell’Italia si pensò di ripartire, in varie esperienze sparse per il territorio, dalla cultura e dall’educazione. Una ricostruzione identitaria che pone una questione, esiste una tradizione fabulistica in Italia?

Tale quesito pone le basi della ricostruzione di una tradizione che porta alla luce le fiabe di una tradizione nata in anticipo rispetto al resto d’Europa. Già a metà del XVI secolo a Venezia si rintracciano i semi delle fiabe. Nelle Piacevoli Notti di Straparola la novella cede il campo alla sua arcaica sorella. Nel Seicento a Napoli ritroviamo Gianbattista Basile che investì le fiabe, i “cunti”, col gusto dialettale, gusto che si intreccia allo stile barocco

È come il sogno d’un deforme Shakespeare partenopeo, ossessionato da un fascino dell’orrido per cui non ci sono orchi né streghe che bastino, da un gusto dell’immagine lambiccata e grottesca in cui il sublime si mischia col volgare e il sozzo.

Parallelamente a Venezia Carlo Gozzi cala le fiabe tra le maschere dell’Arte. La fiaba tuttavia splendette nelle corti francesi. Già ai tempi del Re Sole, alla corte di Versailles, Charles Perrault aveva ricercato uno stile, che impresse su carta, che fosse il corrispondente “alto” della semplicità del tono popolare in cui la fiaba si era tramandata di bocca in bocca fin dall’ora.


La fiaba sorse e tramontò nelle corti francesi. Risorse cupa e tornò nel XIX secolo nella letteratura romantica tedesca, qui figura il lavoro dei fratelli Grimm. I Grimm dedicarono la loro vita alla raccolta del patrimonio tedesco, trascrivendo le antiche tradizioni, la letteratura e le fiabe che avevano udito dagli anziani, ponendo i fondamenti culturali dell’identità nazionale della loro patria. Essi cercavano di dimostrare attraverso la raccolta del folklore teutonico che esisteva un patrimonio culturale tedesco degno di essere paragonato alla cultura francese e a quella classica greca e latina, con l’intento di restituire un’opera scientifica, uno strumento di lavoro per i folkloristi, ed un patrimonio educativo nazionale. C’è qui da chiedersi se la riscoperta di quell’ancestrale antichità abbia travolto anche l’Italia. Questo non accadde, bisognerà attendere la generazione positivista perché ci si mettesse sulle tracce dall’antica materia della magia e dell’immaginazione. Così scienziati e folcloristi si misero a trascrivere sotto dettatura dalle nonne le fiabe. Di quel fervore folkloristico ricordiamo due raccolte di due regioni: Toscana e Sicilia. Si tratta delle due raccolte più belle che l’Italia possegga, sono le Sessanta novelle popolari montalesi di Gherardo Nerucci e le Fiabe, Novelle e racconti popolari siciliani di Giuseppe Pitrè.


L’uno è un libro in un bizzarro vernacolo del contado piemontese, presentato come testo di lingua e bella scrittura; è il libro d’uno scrittore. L’altro consiste in quattro volumi che contengono, ordinati per genere, testi in tutti i dialetti della Sicilia, con gran cura di darne la documentazione più precisa possibile, zeppi di postille con “varianti e riscontri”, note lessicali e comparatistiche; è il libro d’uno scienziato.

Tuttavia entrambe le raccolte rimasero sconosciute alla letteratura italiana. D’altronde bisognerà aspettare il secondo dopoguerra perché in Italia sorgano le fiabe. Il grande lavoro folkloristico rimase rilegato tra gli scaffali delle biblioteche specialistiche. La questione rimase aperta: esiste un Grimm italiano? Poteva nascere con tanto ritardo la raccolta delle fiabe italiane? La nostra storia giunge così all’inizio, a quel 1956. La casa editrice Einaudi commissionò a Italo Calvino di produrre la raccolta di fiabe italiane. Così nel 1956 venne alla luce la prima edizione di Fiabe Italiane per la collana I Millenni di Einaudi nel novembre del 1956. A distanza della seconda ristampa del 1971 Fiabe Italiane rivive in una nuova veste edita da Mondadori corredate dalle illustrazioni di Emanuele Luzzati.


Era per me - e me ne rendevo ben conto - un salto a freddo, come tuffarmi da un trampolino in un mare in cui da un secolo e mezzo si spinge solo gente che v’è attratta non dal piacere di nuotare tra le onde insolite, ma da un richiamo del sangue, quasi per salvare qualcosa che s’agita là infondo e se no perdercisi senza più tornare a riva, come il Cola Pesce della leggenda.

Calvino per la creazione della raccolta non compì un’operazione di ricerca per i borghi e le campagne d’Italia trascrivendo i racconti dagli anziani del posto, ma attinse al lavoro compiuto secoli prima dai folcloristi riportando alla luce del sole il prezioso lavoro. Tuttavia inizialmente quando Calvino si “calò” in questo mondo sottomarino, come egli stesso lo definì nella prefazione da lui scritta nella prima edizione, era disarmato, «sprovvisto d’occhiali dottrinari, neanche munito di quella bombola d’ossigeno che è l’entusiasmo». Pian piano durante il concepimento dell’opera, dividendo i tipi di fiaba in maniera empirica secondo lo scrittore, Calvino fu assorbito da esse. Una fame insaziabile di versioni e varianti lo portò ad ampliare la sua ricerca ma sopratutto si lasciò sedurre da esse.


Ero stato, in maniera imprevista, catturato dalla natura tentacolare, aracnoidea dell’oggetto mio di studio; e non era questo un modo formale ed esterno di possesso: anzi, mi poneva di fronte alla sua proprietà più segreta: la sua infinita varietà ed infinita ripetizione. E nello stesso tempo, la parte lucida di me, non corrosa ma soltanto eccitata dal progredire della mania, andava scoprendo che questo fondo fiabistico popolare italiano è d’una ricchezza e limpidezza e variegatezza e ammicco tra reale e irreale da non fargli invidiare nulla alle fiabistiche più celebrate dei paesi germanici, nordici e slavi.


Il lavoro racchiude leggende religiose, novelle, fiabe, favole d’animali, aneddoti e storielle, leggende locali. Il criterio col quale Calvino concepì la raccolta è legato a due obbiettivi: rappresentare tutti i tipi di fiaba di cui è documentata l’esistenza nei dialetti italiani e la rappresentazione di tutte le regioni italiane. Come si è detto sopra, lo scrittore non trascrisse i racconti dalle orazioni degli anziani ma reperì i componimenti narrativi di vario genere dagli archivi e dalle biblioteche. Il corpus completo, edito nella prima edizione del 1956 da Einaudi, conta 200 fiabe, l’edizione Mondadori ne contiene 64, quelle che sono state identificate da Calvino stesso come le più affini ai bambini

L’ odierna versione di Fiabe Italiane, nata in occasione del centenario dalla nascita dello scrittore sanremese, divide le fiabe in due grandi categorie: L’uccel belverde e altre fiabe italiane e Il principe granchio e altre fiabe italiane. A queste si aggiungono dei sottogruppi che raccolgono le fiabe per temi come Fiabe un pò da piangere o Fiabe da far paura (appena appena, non tanto), Fiabe di Mare, Fiabe d’incantesimi.



Una raccolta ricca ed emozionate, quella di Calvino, che permette ai suoi lettori, piccoli e grandi, di vivere quel corpus di vicende umane che da secoli hanno permesso di dare una risposta ai quesiti sull’esistenza, una spiegazione generale della vita conservata nel lento rimeditare delle coscienze contadine, meditazione giunte fino a noi. Calvino dirà che quelle, le fiabe, sono i cataloghi dei destini che possono darsi a uomini, donne, bambini e bambine, «soprattutto per la prima parte di vita che appunto è il farsi di un destino». Dalla nascita, che porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco della casa paterna, fino a giungere alle prove per diventare adulto e maturo per confermarsi come essere umano. Una sostanza unitaria che unisce uomini e natura, una costante possibilità di metamorfosi di ciò che esiste. Non ci resta che poter affermare che, a parer di chi scrive, il Grimm italiano esiste. Il suo entusiasmo fiorì e crebbe pian piano come un piccolo germoglio. Quando questo fiorì donò a tutti noi una tradizione popolare illustre. Non possiamo congedarvi e augurarvi una buona lettura delle Fiabe Italiane se non con le parole dello stesso Italo Calvino:


Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un’allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell’unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è chiaro che io creda questo: le fiabe sono vere.

 

Fiabe Italiane

Autore: Italo Calvino Illustratore: Emanuele Luzzati Casa editrice: Mondadori Età consigliata: dai cinque anni in su

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