Il sentiero dei nidi di ragno
- clara sorce
- 25 apr 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 2 lug 2024
di Clara Sorce
Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale d’un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Con queste parole, contenute nella prefazione della seconda edizione del 1964, Italo Calvino racconta il concepimento del suo primo romanzo: I sentieri dei nidi di ragno.
I sentieri dei nidi di ragno nasce dal clima post liberazione, concepimento che ne scaturisce da una generazione “smaniosa”. Smania di una giovane generazione che vuole condividere un racconto collettivo, il racconto dell’umanità e della resistenza.
L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani - non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa depositari esclusivi d’una eredità.
Conclusa la guerra la “nuova” e la vecchia generazione sono uniti dal desiderio di raccontare l’esperienza vissuta. L’esperienza che essi hanno vissuto non aveva risparmiato nessuno. Questo Calvino lo percepiva, tanto che nella prefazione al suo romanzo d’esordio lo sottolinea. Egli sottolinea che tale bisogno stabiliva un filo rosso, quello della comunicazione, tra lo scrittore e il suo pubblico. Si tratta di un “faccia a faccia” tra scrittore e lettori alla pari. Entrambi sono carichi di storie. Ognuno di loro aveva la sua storia da raccontare, racconti di spaccati di vita irregolari, drammatiche, avventurose. Un dopo guerra in cui ci si destreggiava in un multiverso colorato.
Chi cominciò a scrivere allora si trovò cosi a trattare la medesima materia dell’animo narratore orale: alle storie che avevano vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica. Durante la guerra partigiana le storie appena vissute si trasformavano e trasfiguravano in storie raccontate la notte attorno al fuoco, acquistavano già uno stile, un linguaggio, un umore come di bravata, una ricerca d’effetti angosciosi o truculenti.
Di fatti Il sentiero dei nidi di ragno non può avere una chiara lettura se si svincola dalla vicenda biografica dell’autore. Nel 1944 Calvino prese parte nelle file partigiane, quell’esperienza sarà incisiva per la sua formazione umana. Si tratta di un periodo cronologicamente breve ma straordinariamente intenso. Nel 1946, a guerra conclusa, incoraggiato da Cesare Pavese e Giansiro Ferrata si dedica alla stesura del suo primo romanzo: Il sentiero dei nidi di ragno, qui riportati nell’edizione Mondadori.

Il romanzo nasce dal desiderio di esprimere “noi stessi” ossia il sapore aspro della vita, ma non solo, anche ciò che fino ad allora si credeva di sapere o di essere. Ecco allora che potremo definire il romanzo “realistico” in quanto l’autore basa le fondamenta della vicenda narrata su fatti, personaggi attinti dalla realtà poco prima vissuta. Così quelle storie che tanto si volevano raccontare prendono forma dalla penna di Calvino. Prendono forma personaggi grotteschi, il folklore, gli spari, le parole scurrili, lirismi e voci gergali collocati su uno sfondo storico e sociale contemporaneo allo scrittore. Il sentiero dei nidi di ragno guarda da un’altra prospettiva la Guerra e soprattutto la Resistenza partigiana. Una visione di scorcio data dagli occhi di un bambino, Pin, del sottoproletariato. La scelta di trattare il tema della Resistenza di scorcio è stata dettata da una precisa scelta dell’autore che riteneva il tema troppo “solenne”, decise di affrontare il racconto di scorcio attraverso gli occhi di un bambino, in un ambiente di monelli vagabondi.
Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…
All’epoca scrivere un romanzo sulla Resistenza si poneva come un imperativo. Avendo vissuto l’esperienza della Resistenza partigiana e visto la pubblicazione del romanzo di Vittorini, Uomini e no, che raccontava la resistenza milanese Calvino decise che il suo romanzo doveva contenere il ritmo, e i diversi andirivieni delle montagne.
Il libro veniva fuori come per caso, m’ero messo a scrivere senza avere in mente una trama precisa, partii da quel personaggio di monello, cioè da un elemento d’osservazione diretta della realtà, un modo di muoversi, di parlare, di tenere un rapporto con i grandi, e, per dagli un sostegno romanzesco, inventai la storia della sorella, della pistola rubata al tedesco; poi l’arrivo tra i partigiani si rivelò un trapasso difficile, il salto del racconto picaresco all’epopea collettiva minacciava di mandare tutto all’aria, dovevo avere un’invenzione che mi permettesse di continuare a tenere la storia tutta sul medesimo gradino, e inventai il distaccamento del Dritto.
Il romanzo narra la vicenda di un bambino, Pin, cresciuto nel degrado dei vicoli della San Remo vecchia. Pin vive bighellonando tra i vicoli cercando di vivere la sua condizione di bambino in un mondo di adulti che ha regole tutte sue e che a lui sono ancora oscure. Ma Pin vive in una soglia in cui lui stesso non sa bene come definirsi, non conosce né le regole dei bambini né quelle degli adulti. Le regole sono quelle dei giochi, due mondi che vivono in una dimensione ludica tutta loro e che agli occhi del bambino risultano complessi una, quelli degli adulti, e inafferrabili l’altra, quella dei bambini. Quest’ultima fa soffrire il bambino perché non gli permette di avere un vero amico con cui condividere il sentiero dove i ragni fanno il nido. Per via della sua condizione sociale è costretto ad abbandonare la sua spensieratezza fanciulla per entrare in quel mondo di adulti dove il sesso, la violenza, il linguaggio scurrile è il magma nel quale si articolano le loro vite.
Pin non è accettato dalla comunità anche per via della sorella, prostituta alleata dei tedeschi.
Le sere, come un adulto, Pin le passa all’osteria dove diviene il fulcro per gli adulti per via delle sue canzoni volgari e malinconiche che parlano delle “cose dei grandi”. Proprio in una di quelle sere viene istigato dagli avventori dell’osteria a rubare la pistola a un marinaio tedesco cliente della sorella. Il bambino riuscirà nell’impresa e nasconderà la pistola in un luogo noto solo a lui, il sentiero dove fanno i nidi i ragni. Scoperta la malefatta viene denunciato e catturato dai tedeschi. Nella prigione incontrerà il suo datore di lavoro ma soprattutto il famoso Lupo Rosso, partigiano.
Grazie ad un piano del Rosso Pin riuscirà ad evadere e rifugiarsi tra le montagne. Lì si unirà a una banda di partigiani composta da tipi grotteschi: ragazzini e adulti strani e irregolari; ladruncoli, vagabondi. Sarà in questa banda che Pin troverà l’amicizia. Farà amicizia con Cugino ma scoprirà anche il tradimento e la falsità.
Politicamente inconsapevole Pin passa tra le fughe la prigionia fino alle battaglie come in un romanzo d’avventura, senza riuscire a capire i discorsi e i comportamenti di un mondo adulto dal quale resta estraneo. L’ottica infantile avvolge i fatti narrati in un clima misterioso e fiabesco offrendo al lettore un’immagine appassionata e al contempo antieroica della Resistenza.
Di fatto, come si è detto sopra, la vicenda mette in luce anche l’aspetto del tradimento. Tradimento scoperto da Pin che rivelerà la tresca tra Dritto, il comandante del gruppo, e Giglia, moglie del partigiano Mancino. Pin fuggirà dal distacco per cercare la sua pistola, ma questa è stata rubata da Pelle, un partigiano traditore. Pin ritroverà la sua pistola a casa della sorella che fa da spia ai tedeschi.
Calvino sceglie di raccontare la vicenda della Resistenza ai margini dei grandi eventi storici. Ne scaturisce un’immagine antieroica della lotta partigiana, sospesa tra toni realistici, avventurosi e fiabeschi che la sottraggono alla retorica celebrativa.
La conclusione del romanzo è avvolto da un’atmosfera di fiaba. Il bambino solo e triste nella notte si ritrova nel luogo dove i ragni fanno il nido, lì avrà il confronto con Cugino. Prima di allora Pin è un bambino selvaggio e sbandato che non conosce l’affetto e la cura da parte degli adulti, la sua vita prima d’all’ora è cruda, incomprensibile e minacciosa. Grazie a Cugino ha il grande amico che ha sempre desiderato.
Qui, a conclusione, riportiamo le parole di Calvino contenute nella prefazione concepita per la seconda edizione del racconto del 1964. Parole emblematiche che ben racchiudono l’essenza dei I sentieri dei nidi di ragno
L’inferiorità di Pin come bambino di fronte all’incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione provavo io, come borghese. E la spregiudicatezza di Pin, per via della tanto vantata sua provenienza dal mondo della malavita, che lo fa sentire complice e quasi superiore verso ogni “fuori legge”, corrisponde al modo “intellettuale” d’essere all’altezza della situazione, di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni… Così, data questa chiave di trasposizione - ma fu solo una chiave a posteriori, sia ben chiaro, che mi servi in seguito a spiegarmi cos’avevo scritto - la storia in cui il mio punto di vista personale era bandito ritornava ad essere la mia storia…
I sentieri dei nidi di ragno
Autore: Italo Calvino
Casa editrice: Mondadori
Età consigliata: dai diciassette anni in su
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