top of page
Immagine del redattoreclara sorce

La didattica per schede: la morte dell’espressione artistica

Aggiornamento: 2 lug




di Clara Sorce





L’anno scolastico è alle porte. Tutti gli istituti, nessuno escluso, si stanno preparando al grande evento con emozione e anche qualche timore. Tutti coloro che animano la scuola si stanno preparando, dai docenti, con i consigli d’istituto, fino agli autisti dei pulmini. Tutti, ma proprio tutti stanno dando il meglio di sé per ricominciare ad accogliere piccolissimi e grandi allievi.

Gli allievi dal canto loro sono alle prese con ripassi e compiti, acquisti per il corredo scolastico e come non dimenticare il vuoto al pancino al pensiero di rivedere i compagni, gli amici, gli insegnati, il personale scolastico.

Ogni ciclo scolastico che inizia suscita in me una riflessione che parte da un quesito: la scuola quest’anno andrà incontro al paradigma educativo della creatività? Lo scorso anno mi è capitato spesso di incontrare tra i quaderni dei bambini le famose fotocopie. Gianfranco Zavalloni ne La pedagogia della lumaca intitolò un paragrafo: Fotocopie e schede, ovvero la morte dell’espressione artistica. Affermazione più che vera! Zavalloni, docente e dirigente scolastico, osservò che l’introduzione “ingente” nelle scuole delle fotocopie ha contribuito alla formazione di ciò che lui definisce la “didattica per schede”, tale fenomeno, osserva il maestro e dirigente scolastico, ha contribuito all’annullamento delle capacità artistiche di bambini e ragazzi.


Nelle schede fotocopiate da colorare c’è essenzialmente l’uccisione della creatività, sopratutto quando queste divengono unici momenti di espressione artistica del bambino. Dov’è finita l’originalità, la creatività, l’unicità? Chiunque ha a che fare con una scuola dell’infanzia capisce perfettamente se la strada che si sta percorrendo in quella scuola va nella direzione dell’assassinio della creatività.

(Zavallone, p.62)


Parole forti quelle di Gianfranco Zavalloni, che non da spettatore ma da attivo partecipante dell’ambito educativo ne ha visto l’aspetto “nevrotico” e di stress che questo approccio “didattico” comporta.




Se ci troviamo di fronte a delle repliche, a delle clonazioni dello stesso disegno, è sicuro che li esiste il pericolo dello stress da fotocopia.

(Zavallone, p.63)


Prima di Zavalloni in merito si pronunciò l’artista poliedrico Bruno Munari.

Munari col suo metodo pose l’attenzione su un aspetto importante del fare artistico: il segno.

Il segno comporta un grande lavoro sia in chi pratica il fare artistico ma sopratutto lo comporta nel fruitore che compie un grande sforzo d’osservazione. Il fruitore non si chiede cosa viene prima della bella tela che sta dinnanzi a lui, si grida al genio artistico. Prima del disegno c’è il segno. Come far approcciare i bambini al segno? Come veicolare tale processo a dei bambini abituati alla riproduzione stereotipata? Munari ci fornisce una semplice e chiara risposta: l’osservazione.





Partendo dall’osservazione di opere d’arte, di vari artisti di diverse epoche, l’artista cambia radicalmente la didattica dell’arte che fino a quel momento era basata sull’offrire ai bambini riproduzioni di opere stereotipate. Ne Laboratorio per bambini a Brera Munari affermava che tale pratica produce nell’infante frustrazione perché questi non possedendo gli strumenti per poter riprodurre l’opera, in modo accademico, finiva con insodisfare il bambino. Questi non essendo sollecitati non sperimentano la propria creatività. Munari invita i piccoli ad avvicinarsi fisicamente all’opera invitando ad osservare, sospendendo ogni forma di giudizio dando così importanza allo sguardo. Ciò non comporta soltanto lo sviluppo dell’osservazione, attraverso gli strumenti i piccoli si appropriano del gesto. Ognuno di loro scopre così che il segno si determina a seconda di come viene praticato, grazie agli strumenti utilizzati e alla pressione che si da alla mano.


Una volta che i più piccoli si sono avvicinati all’opera d’arte e hanno appreso il concetto di segno, sono in grado di imparare da soli quello che hanno davanti. In un primo momento, quindi, saranno capaci di riconoscere il punto, poi la linea, successivamente il disegno, fino ad arrivare alla texture, facilmente riscontrabile in natura.
Il bambino, dopo che ha sperimentato nei laboratori, acquisisce una maggiore sensibilità che gli permetterà di fruire delle opere d’arte perché ne comprende il linguaggio

(Sperati, p.16-15)


Quello di Munari e Zavalloni è un invito a chi si occupa di educazione di predisporre al meglio gli ambienti e mettere nelle condizioni migliori i bambini così che possano esprimersi al meglio, perché possano trovare e perseguire nella loro esistenza il piacere di creare.


Per questo bisogna fare un’attenta ricerca sui materiali utilizzabili. Il supporto su cui si disegna, sia esso cartoncino, legno, cartone o fogli di carta è fondamentale, come sono importanti gli strumenti e i materiali utilizzati nonché la loro qualità: gessetti, pastelli, carboncini, chine, tempere, acquarelli, acrilici, oli, matite, pennelli e pennini possono essere di qualità diverse.

(Zavallone, p.63)


Soffermiamoci a riflettere su quanto sia fondamentale che l’infante si approcci fin dalla scuola dell’infanzia alla pratica artistica in una didattica che guardi al paradigma creare. Nelle classi di ogni ordine e grado soffermiamoci ad osservare i piccoli e grandi alieni che le animano … con pazienza. Piano piano scorgiamo l’esperienza dell’umanità che emerge in ciò che loro rappresentano. Facciamo sì che ciò avvenga, non che si avveri il processo inverso.



 

Bibliografia


G. Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Emi editore, Verona 2012.

S. Sperati, Fare per crescere. Laboratori Metodo Munari: Segni. RCS MediaGroup S.p.A, Milano 2021.

5 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Atelier

In "Atelier. I luoghi della trasformazione" si riflette sui luoghi in cui si fa arte e il ruolo dell'atelierista.

Rumore

コメント


bottom of page