di Clara Sorce
Da bambina adoravo le storie di Gulliver ed in particolare modo la sua avventura con i Lilliput. L’infinitamente piccolo che incontra l’infinitamente grande, lo straordinario che incontra l’ordinario. I Lilliput sono entrati nell’immaginario comune in Occidente ma ciò che non sapevamo è che dal lontano Oriente delle piccole fate, le fate formiche, ci avrebbero sedotto e incantato. Le fate formiche di Shin Sun-Mi edito da Topipittori è un albo dalle tinte delicate in cui predomina il rosa cipria, colore, questo, che conduce il lettore in un rapporto tra passato e presente dove la “misura” è il fattore scatenante di una storia “bambina” in cui un bambino, in una fredda notte d’inverno, incontra la sua mamma bambina. Il testo lievissimo si accompagna a illustrazioni che attingono alla tradizione pittorica coreana.
Le fate formiche ha una grande peculiarità ossia quella di far approcciare il lettore alla cultura tradizionale coreana, passata e presente, a partire dal vestiario della mamma e del suo bambino, questi elementi giocano in un equilibrio perfetto in cui non si sovrappongono, bensì sono in continuità. Un delicato intreccio tra un prima, un dopo e un adesso. La bellezza di questa storia sta proprio nel “qui ed ora”, nell’adesso anche quando, visivamente, siamo portati a pensare che sia una storia lontana per via degli elementi illustrati come enunciato. Le tavole caratterizzate dal rosa cipria sospendono le figure in un mondo fluttuante. Osservandole ci immergiamo in una galleria di opere che ricordano la delicatezza, la sospensione delle opere della tradizione che in armonia si intreccia al sogno e al mistero.
In una notte d’inverno. Per tutto il giorno il bambino aveva avuto caldo. Poi freddo. Poi di nuovo caldo.
Inizia così la storia di Shin Sun-Mi. In una fredda notte d’inverno un bambino nel suo futon scotta dalla febbre, accanto un gatto rosso, il termometro elettronico all’angolo, la madre lo accudisce teneramente cambiando i panni che immerge in una bacinella d’acqua. Il bambino dorme. Voltiamo pagina e ci troviamo catapultati in un sogno, no non lo è. Qualcosa sta accadendo non appena il bambino apre gli occhi sembra che non sia cambiato nulla nella stanza, oltre la mamma che si appisola. Ma non è così. Qualcosa di infinitamente minuscolo, e operoso come le formiche, si muove tra le pagine. Le tavole incorniciate che affiancano le tavole bianche dove si poggia delicatamente il testo dialogano tra la sospensione del sogno, della magia e del tempo reale. Il bambino si solleva, straniato, il gatto si incuriosisce, le piccole fate sono già all’opera.
Shhh! Non svegliarla. Saremo noi a prenderci cura di te al posto suo
Il piccolo, sorpreso, è pronto a svegliare la madre ma le piccole fate formiche lo fermano. Loro sono già all’opera per prendersi cura di lui, c’è chi versa la medicina nel cucchiaio e chi bagna le stoffe nell’acqua per rinfrescare la sua fronte. Lui ormai rapito da ciò che sta accadendo chiede a quei piccoli esseri chi siano. Loro rispondo al bambino raccontandogli che conoscono la mamma fin da bambina ed ora che è mamma ha bisogno di riposarsi. Somministrano la medicina al bambino e sistemano un cuscino sotto la testa della mamma da quel momento penseranno a tutto loro.
Da questo momento l’autrice crea un collegamento tra il passato e il presente attraverso un elemento: l’indumento della mamma, il tradizionale l’hanbok. Compito dell’elegante abito tradizionale è quello di fare da “ponte”. Voltiamo pagina e l’elegante cornice bianca lascia il posto al fondo cipria che adesso prende campo in tutta la scena, la magia ha inizio. Voltiamo pagina e troviamo le fate formiche e la mamma nella stessa posizione ma qualcosa è cambiato. Il bambino non c’è più, la mamma si desta dal suo sonno e non è più adulta ma bambina. Una bambina che osserva dei piccoli esseri che si intrufolano nel suo porta gioie per giocare con quei monili. Fanno amicizia, e la bambina dona loro un anello. Sono felici insieme, ma pian piano si allontanano. La bambina, oramai mamma, non avrebbe mai immaginato che in quella fredda notte di inverno insieme al suo bambino avrebbe incontrato le fate formiche.
Le fate formiche sono il simbolo dell’infanzia, ossia quella condizione degli esseri umani capaci di cogliere lo straordinario dall’ordinario, ed è grazie al suo bambino che le fate possono ritrovare la loro amica. Il ponte di quel mondo è l’anello che ella dona alle fate. Sarà proprio quello che farà incontrare il bambino con la sua mamma bambina. L’infanzia farà riaffiorare dal passato immagini dimenticate, che nessun adulto sa di possedere ancora. La prassi di cura permette agli adulti di ritornare egli stessi bambini portandoli a ricordare. Il ricordo della cura, dell’amore, della felicità che evoca nel presente il proprio essere infantile con le sue possibilità immaginative, a quel fare senza limiti di spazio e di tempo.
Le fate formiche
Autrice: Shin Sun-Mi
Casa editrice: Topipittori
Età consigliata: dai sei anni in su
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