di Clara Sorce
Raccontare il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry è un’impresa ardua. È sempre una grande impresa cimentarsi con un grande capolavoro della storia della letteratura, tuttavia, voglio lanciarmi in questa “impresa” a modo mio. Un mondo che mescola sensazioni, esperienze e spaccati di vita, pertanto comincio a scrivere queste righe che raccontano il “mio” Piccolo principe. Scrivo la parola “mio” perché ho fatto mio questo libro, perché come spesso accade i libri ci indicano la via da percorrere lasciando dentro di noi un segno indelebile.
Quando lessi per la prima volta il Piccolo principe fu da studentessa liceale del quarto anno del Liceo Artistico. Piena di interessi e appassionata di letteratura mi ritrovai a discutere con due mie docenti di libri e tra questi il Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. All’epoca stavo vivendo un periodo particolare della mia vita ossia l’ingresso nell’età adulta e mi interrogavo su come sarei voluta diventare, che adulta sarei voluta essere. Ad accompagnarmi in questo passaggio fu proprio il Piccolo principe caldamente consigliatomi da quelle due professoresse che ricordo con tanto affetto. Da all’ora quel piccolo dai capelli color del grano mi prese per mano accompagnandomi fino ad oggi rammentandomi sempre l’adulta che sognavo di essere. Il Piccolo principe con le sue infinite stelle che risuonavano come sonagli mantiene in me viva quella “bimba interiore” che come l’aviatore non rinuncia ai suoi sogni.
La storia ci è ben nota, è quella di un aviatore che per colpa di un’anomalia del motore del suo aereo compie un atterraggio di fortuna nel deserto Africano. Lì con poche scorte d’acqua e un motore da riparare incontrerà un bambino dai capelli del color del grano che gli chiederà di disegnargli una pecora. L’aviatore rimarrà inizialmente perplesso di fronte al bambino e alla sua richiesta perché era solo capace di disegnare un boa dal di dentro e dal di fuori. Qui l’aviatore ci pone dinanzi ad una prima grande riflessione sul mondo degli adulti. Ebbene questi dimenticando il bambino che alberga dentro di sé portando consequenzialmente la proiezione della loro vita da adulti nei bambini. Bambini che stanno costruendo pezzettino dopo pezzettino il loro essere, le loro esperienze e la loro visione del mondo. Visione, quella dei bambini, autentica, svincolata dalla presenza di stereotipi e da nozioni culturali che addetta degli “adulti” sono le uniche cose importanti nella vita. Ma se queste nozioni culturali come il far di calcolo, la geografia, la storia, le lingue si mescolassero alla creatività e a quell’occhio bambino cosa succederebbe? È quello che il nostro aviatore si chiede perché improvvisamente a sei anni la sua brillante carriera artistica fu bruscamente interrotta da quel mondo serio che gli adulti tanto decantavano con orgoglio.
Gli adulti mi hanno consigliato di lasciar stare i disegni di serpenti boa, dal di dentro o dal di fuori che fossero, e di interessarmi piuttosto alla geografia, alla storia, alla matematica e alla grammatica. È per questo motivo che ho abbandonato, all’età di sei anni, una magnifica carriera di pittore.
Gli adulti spesso sono giudicanti verso l’operato dei bambini come nel caso della loro produzione artistica, questo porta inevitabilmente ad aridire la loro creatività, la fiducia in se stessi, nelle loro idee e nelle loro visioni che hanno del mondo che loro percepiscono con i sensi, col corpo con l’esperienza, questo in favore di cosa? In favore del compiacimento estetico, del conforto nelle conoscenze che ben dottrinalmente gli adulti trasmettono riempiendo senza costruire insieme ai bambini e alle bambine che portano con sé un piccolo fagotto che pian piano si arricchisce grazie all’ascolto, alla cura, al confronto, al dialogo. Il nostro aviatore non fu sostenuto nella sua espressione, non fu ascoltato nella sua scoperta strabiliante sui serpenti boa. I bambini rappresentano ciò di cui vengono a conoscenza perché questi diventano oggetti familiari nella loro vita, tuttavia non rappresentano il mondo, loro creano il loro mondo con ciò che per loro è importante come il boa per l’aviatore. L’esplorazione del mondo pian piano si allarga facendo nascere nei bambini il desiderio di metterlo in “scena” a sua misura. I bambini assimilano le conoscenze ricreando quegli oggetti, quell’universo aperto su infinti incontri.
Ancora oggi non c’è una consapevolezza piena del mondo della sfera infantile tanto che in tempi contemporanei accade che non si presta ascolto al quel mondo fatto di incontri. Sarà
l’aviatore soffermandosi ad ascoltare il Piccolo principe, nonostante la sua preoccupazione per la riparazione del motore dell’aereo e delle scorte d’acqua che andavano ad esaurirsi, a rammentarci quanto sia importante fermarsi ad ascoltare perché
Gli adulti non capiscono mai nulla da soli, ed è faticoso per i bambini spiegar loro le cose di continuo.
Questi primi capitoli iniziali del racconto di Antoine de Saint-Exupéry mi rammentano Felice come un bambino che dipinge di Arno Stern, Armando editore, ed in particolare modo la prefazione del libro di Albert Jacquard. Jacquard nella sua prefazione al libro dal titolo Dipingere è felicità espone in maniera chiara il destino del bambino una volta venuto al mondo ossia quello di diventare una “persona”. Persona capace di manifestare le sue capacità di intervenire nel proprio divenire ma questa metamorfosi può avverarsi solo grazie all’incontro con una educazione volta all’apertura di se stessi e non con un insegnamento che rinchiude in un conformismo di un sapere prestabilito. Ed ecco che l’espressione tramite il disegno, il colore, la forma, le texture è l’occasione di incontro con se stessi perché
Trovarsi davanti ad un foglio bianco è più vertiginoso che non essere di fronte ad uno specchio (Stern, pag.9)
L’aviatore che non ha avuto il privilegio di trovarsi da bambino in un ambiente che favoriva e sosteneva le sua creatività si ritrova davanti una richiesta che ai suoi occhi oggi è un’immensa voragine che provoca vertigine. Sarà il Piccolo principe a far superare all’aviatore quella vertigine tanto da disegnargli la pecora tanto desiderata, ma non solo, l’uomo andò oltre armandosi di coraggio prese matite e colori per raccontare la storia del Piccolo principe. La storia di un viaggio che porta una rivelazione sul mondo adulto, della cura, dell’affetto e del legame profondo che lega gli esseri.
Piccolo principe vive in un piccolo pianeta l’asteroide 612, un pianeta così piccolo tanto che poteva vedere anche più di quaranta tramonti solo spostando di poco la sua sedia. Un pianeta che ha bisogno di costante cure per preservarlo dai pericoli come i boab. Ecco svelatoci il suo desiderio di possedere una capra per estirpare le radici di quella pianta che se non preventivamente estirpate distruggerebbero il piccolo pianeta. Ma non solo l’asteroide 612 ha bisogno anche di cure e affetto ecco allora che il Piccolo principe racconta la strabiliante venuta al mondo della sua rosa. Proprio per curarla deciderà di lasciare il sui pianeta per cercare delle risposte su cosa siano i legami e la cura verso un altro essere vivente. Cosi sistemato il pianeta, pulendo i vulcani attivi e quello non attivo, ripulito il terreno dalle radici dei boab e protetto la sua rosa con una campana di vetro, perché questa per difendersi aveva solo quattro spine. Sistemate le sue faccende partì per un viaggio dove scopri l’animo degli adulti. Scoprì che al mondo esiste l’avarizia, la solitudine, la vergogna e la disperazione, la prepotenza, l’egoismo e la vanità. Giunto nella terra scoprì che la sua rosa non era un unico esemplare ma che ne esistevano altre come lei. Sarà grazie alla volpe, che addomesticò, che comprese cosa significhi il legame. La sua rosa era unica perché sua, a lei aveva intrecciato la sua vita, un legame affettivo, di cura e amore.
È il tempo che hai perso per la tua rosa a renderla così importante.
La permanenza nella terra del Piccolo principe era giunto alla sua conclusione ed è lì, nel viaggio di ritorno nel luogo dove avrebbe incontrato il serpente per tornare a casa che incontrò l’aviatore. Quell’incontro segnò profondamente l’uomo che fortificò il suo bambino interiore ma allo stesso tempo fu per lui doloroso separarsi da quel bambino che tanto gli aveva donato. Il Piccolo principe tornò nel suo piccolo pianeta e da quegli avvenimenti per l’aviatore passarono sei anni per noi generazioni di lettori trascorsero secoli nell’attesa di rivedere nel deserto dell’Africa quel bambino dai capelli d’oro che grazie alla volpe ci ha svelato il più importante dei segreti:
Ecco il mio segreto. È molto semplice: si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
Il Piccolo Principe
Autore: Albert Jacquard
Casa editrice: Newton Compton Editori
Età consigliata: dai sette anni in su
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